Immigrazione a Roma e nel Lazio: la barbarizzazione dei diritti tra immobilismo della burocrazia, affarismo e centri-pollaio

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Mentre lentamente torna a risalire, dopo il calo del 2021, il numero degli immigrati stabili, il sistema di accoglienza continua a contare posti inutilizzati e mal distribuiti e, nella Città metropolitana di Roma, soffre di un eccessivo accentramento di posti e persone in poche strutture, spesso di grandi dimensioni e gestite da enti for-profit: un approccio mercificatorio che estende ai Cas quanto avvenuto per i Cpr. In moderata crescita anche l’occupazione straniera, ma se il mercato del lavoro integra, seppure a livelli medio-bassi, i decreti flussi e la sanatoria del 2020 (a Roma ancora in gravissimo ritardo) alimentano nuova irregolarità.

Mercoledì 19 giugno alle 16.30 a Roma, presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio, sarà presentato il Diciannovesimo “Osservatorio sulle migrazioni a Roma e nel Lazio”, curato dal Centro Studi e Ricerche IDOS e dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.

Nel 2022 gli stranieri residenti nel Lazio, dopo il calo del precedente anno, sono tornati a registrare una lieve crescita (+2,6%; in Italia: +2,2%), attestandosi su 634.045, l’11,1% della popolazione totale e il 12,3% degli stranieri residenti in Italia. Le stime dell’Istat prevedono per il 2023 un nuovo aumento (+2,2%), che porterebbe i residenti stranieri a 647.800.

A contribuire positivamente al recupero sono state la dinamica naturale (+3.863) e quella migratoria con l’estero (+25.882 unità), complice la guerra in Ucraina. Parallelamente, le acquisizioni di cittadinanza italiana hanno avuto un notevole aumento (+44,4%), attestandosi nel 2022 a 12.769 (il 6,0% delle 213.716 registrate in Italia).

Crescono anche i permessi di soggiorno (421.703, +6,9%), principalmente per via dei nuovi rilasci, quasi raddoppiati nel 2022 e pari a 41.760 (il 9,3% di quelli concessi in Italia). Il 40,7% dei nuovi permessi è stato riconosciuto per motivi di asilo/protezione (17.010, +618,6%), nell’83,7% dei casi a profughi ucraini (14.235). Gli altri principali motivi dei nuovi rilasci sono per il 25,4% la famiglia (10.587, +8,6%) e per il 12,6% il lavoro (oltre 5mila, +51,5%).

Resta invece molto critica l’accoglienza di richiedenti asilo e profughi, non tanto per la dimensione degli arrivi (rimasti stabili), quanto per lo smantellamento e il degrado strutturale del sistema di accoglienza, che decreti legge e capitolati di spesa svuota-servizi hanno finito per spezzare radicalmente in due: i centri Sai (Sistema di accoglienza e integrazione), gestiti dai Comuni e generalmente ritenuti più virtuosi e funzionali all’inserimento, coprono ormai solo il 33,2% dei posti del Lazio (in Italia: 36,7%), mentre il restante 66,8% è in capo ai Cas (Centri di accoglienza straordinaria), dove vengono relegati per mesi i richiedenti asilo in attesa di risposta, privati di servizi fondamentali, tra cui l’insegnamento della lingua italiana.

A fine 2022 i posti nei Cas erano 6.779 e, contrariamente alla retorica dell’“invasione”, per il 3,4% risultavano inutilizzati nell’ultimo giorno dell’anno (228 posti vuoti), nonostante diversi grandi centri – come i Cas di Anzio e Fiano Romano – superassero la capienza massima accogliendo più persone rispetto ai posti. La Città metropolitana di Roma si distingue per due primati negativi: ospita i Cas

con la capienza media più alta d’Italia e ha gli unici due Cas del Paese con più di 300 posti: uno da 433 a Rocca di Papa e uno da 380 nella Capitale.

Mancando una programmazione efficace, si opera in emergenza e si privilegiano le grandi strutture e i grandi enti gestori che, grazie a economie di scala, ammortizzano i costi e massimizzano i profitti a scapito di standard di trattamento dignitosi. Tra i 52 enti gestori del Lazio si sono così imposte vere e proprie multinazionali dell’accoglienza e della detenzione, attive anche in altri Stati europei, che insieme a diverse altre grandi società amministrano quasi il 24% dei posti.

Tra i Cpr più problematici in Italia spicca quello di Ponte Galeria, dove nel febbraio del 2024 si è tolto la vita Ousmane Sylla. La storia di questo centro è quella di una progressiva privatizzazione dei servizi e di un processo degenerativo che oggi rischia di essere esteso anche ai Cas e ai richiedenti asilo, facendo della detenzione amministrativa e dell’accoglienza straordinaria un unico grande sistema di isolamento sociale e punitivo dei migranti.

Anche sul fronte del lavoro, a una lieve ripresa dell’occupazione straniera si affiancano storture di sistema che, nei fatti, contraddicono le intenzioni politiche.

Dai monitoraggi della campagna “Ero straniero” sugli esiti dei decreti flussi 2021 e 2022 emerge che nel Lazio, dei lavoratori che hanno ottenuto il nulla osta e il visto, ad attendere ancora di poter entrare in regione sono poco più del 16% per l’anno 2022 e poco più del 39% per il 2023 (a livello nazionale le quote sono, rispettivamente, del 6% e 29%).

Inoltre, nel 2022 meno del 28% dei nulla osta si è trasformato in contratto di soggiorno (1.341 su 4.812). Una situazione particolarmente critica per la prefettura di Roma, dove il tasso di conversione è di appena lo 0,6% (10 contratti su 1.536 nulla osta). Lentezze amministrative e controlli poco efficaci rendono i decreti flussi, per come gestiti fino ad oggi, uno strumento molto problematico che, da canale di ingresso legale, si trasforma in leva di produzione di irregolarità.

Una macchina amministrativa ingolfata e la carenza di personale hanno anche inficiato la regolarizzazione del 2020 e, tra le prefetture con i ritardi più gravi, vi è ancora una volta Roma, al cui Sportello unico sono pervenute 17.371 istanze, ma che a fine settembre 2023 (a oltre 3 anni dal termine di presentazione delle domande) doveva ancora processarne il 44,5%, lasciando più di 7.800 persone – e i relativi datori di lavoro – senza risposta e senza diritti.


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