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La morte del “macellaio” di Teheran

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Ebrahim Raisi, Presidente della Repubblica Islamica, è morto assieme al suo Ministro degli Esteri ed altre 6 persone in un “incidente” con l’elicottero. Le domande da porsi sono più di una. Per capire perché molti iraniani, dentro e fuori dal paese celebrano la sua morte con balli, canti e distribuzione di dolci (una tradizione mediorientale per festeggiare eventi lieti) bisogna prima gettare uno sguardo sulla persona di Ebrahim Raisi e il suo passato. Soprannominato “Giudice della Morte” per il ruolo avuto come uno dei quattro membri del Comitato formato da Rouhollah Khomeini (fondatore della Repubblica Islamica), nell’estate del 1988 per “sfoltire” le carceri iraniane riempite di dissidenti in gran parte membri dei Mujahedin del Popolo e di diversi gruppi di sinistra, ordinò l’esecuzione di diverse migliaia di persone in soli due mesi. Non bisogna dimenticare che uno dei suoi collaboratori in quel periodo nel carcere di Gohardasht, nella città di Karaj, Hamid Nouri, fu condannato due anni orsono da un tribunale di Stoccolma all’ergastolo con l’accusa di “crimini contro l’umanità”. Sentenza confermata in seguito in tutti i tre gradi di giustizia in Svezia. I crimini commessi da Ebrahim Raisi sono continuati anche negli anni successivi, come nei due anni che era al vertice dalla Magistratura e nei tre anni che ha guidato il paese nelle vesti di Presidente della Repubblica. Negli anni che era a capo della Magistratura sono stati impiccati, secondo Iran Human Rights, oltre 400 persone. Anche le oltre 500 morti per le strade di molte città iraniane (secondo Amnesty International) due anni fa, durante le proteste conosciute come “Donna, Vita, libertà” sono state ordinate dal governo da lui presieduto.

Con la morte di Ebrahim Raisi cambia qualcosa in Iran? La risposta è un no deciso e rotondo. Ebrahim Raisi era un semplice esecutore degli ordini e della volontà di Ali Khamenei, il leader supremo della Repubblica Islamica. Al contrario dei presidenti che lo hanno preceduto era stato scelto proprio per eseguire gli ordini senza avere alcun margine di autonomia dalla Guida Suprema. Lo stesso vale per Hossein Amir-Abdollahian, il suo Ministro degli Esteri che lo accompagnava in questo viaggio ed incontro avuto con Elham Aliev, il Presidente dell’Azerbaijan poche ore prima dell’incidente. Si tratta di pedoni facilmente sostituibili. L’altra domanda che alcuni si pongono in questo momento è la seguente: si tratta di un incidente, oppure è stato un attentato? Fino a questo momento le autorità della Repubblica Islamica non hanno fornito informazioni sulla natura dell’incidente. La mancanza di informazioni ha rafforzato le voci sulla possibilità che si tratti piuttosto che di un incidente di un attentato. In questo caso alcuni vedono dietro la morte di Ebrahim Raisi la mano dei servizi segreti israeliani, mentre altri parlano di una lotta tra le diverse frazioni dell’ala dura del regime. In questa seconda ipotesi la vicenda dovrebbe essere vista nell’ottica della lotta per la successione di Ali Khamenei, la Guida Suprema che è ottantacinquenne e malato. Chi aspira alla successione è Mojtaba, uno dei figli di Khamenei, stretto collaboratore del padre. Da tempo circolava anche il nome di Ebrahim Raisi come uno dei candidati alla guida della Repubblica Islamica. Altri religiosi che contendevano questo ruolo come l’ex Presidente della Repubblica e uno dei fondatori della Repubblica Islamica, l’Ayatollah Akbar Hashemi Rafsanjani è morto in circostanze poco chiare nel 2017. Un altro religioso di alto rango che poteva competere con il figli di Khamenei, l’Ayatollah Mahmoud Hashemi Shahroudi è scomparso nel 2018 e un terzo Ayatollah, anche lui ex capo della Magistratura, Sadegh Amoli Larijani è stato messo da parte con accusa di corruzione. Tutti questi tre candidati e lo stesso Ebrahim Raisi dal punto di vista teologico si trovavano in una posizione superiore rispetto a Mojtaba Khamenei. I sostenitori della teoria complottista del coinvolgimento del Mossad, si basano soprattutto sul fatto che negli ultimi quindici anni, gli agenti israeliani hanno agito nel paese con determinazione e grande efficacia, come dimostra una infiltrazione nei servizi di sicurezza e nelle Forze Armate della Repubblica Islamica, che hanno potuto colpire indisturbati persone coinvolte nel programma atomico e missilistico e sabotare  impianti e strutture nucleari. Proprio in questi giorni è uscito in inglese ed in ebraico il libro di due giornalisti israeliani che raccontano come agenti del Mossad abbiano potuto trasferire in Israele mezza tonnellata di documenti cartacei e decine di hard disk dall’archivio nucleare del paese in un’operazione che ha coinvolto un team di 24 persone, alcuni anche iraniani.

 


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