12 maggio 1974, il giorno in cui in Italia vinse la modernità

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Ai seggi c’era la fila fin dalla prima mattina quel 12 maggio 1974, domenica come oggi. Sono una ragazza degli anni Settanta, ero giovane, appena laureata, precaria anzi precarissima (recensioni a 3000 lire, correzione di bozze, riscrittura di tesi di laurea impresentabili, un po’ di tutto) ma fiduciosa che il futuro per noi sarebbe stato migliore di quello dei nostri genitori. Come è stato. Le famiglie borghesi come la mia spesso erano divise in due: nel mio caso mamma votava contro il divorzio e mio padre a favore della legge. Era strano, la maggioranza delle donne votò infatti per mantenere la legge e fu decisiva per l’esito finale.
I giovani votarono in massa per il “no” all’abrogazione, non era neppure una ipotesi in discussione. Esclusi i militanti del Movimento Sociale, s’intende. Marco Pannella e Emma Bonino erano molto popolari in quelle settimane, il PCI molto meno, era tormentato. Non si capiva molto di quello che stava succedendo, erano comparse delle bande chiamate “Brigate rosse”, sequestravano dirigenti e magistrati, non per il riscatto.
Un paese ancora pieno di speranze e di sogni non ebbe alcuna paura e ribaltò ogni previsione. Non era fortunatamente un’epoca in cui si viene massacrati ogni giorno dai sondaggi, ma i giornali parlavano di un esito molto incerto. Non esistevano exit poll e si dovette aspettare la notte del 13 per sapere che in Italia, la cattolicissima Italia democristiana, aveva davvero vinto la modernità.
Il NO vinse con quasi il 60 per cento e non potevano essere solo elettori di sinistra e radicali: era evidente che nel mondo cattolico cominciavano a farsi sentire quelli che poi, tanti anni dopo, Romano Prodi avrebbe definito i “cattolici adulti”.
Ricordare quel giorno serve anche a riportare la memoria su quel decennio, i settanta, sul quale pesa una grande miopia della storia: il “paese mancato” come lo definisce Guido Crainz, che varò in quattro anni tutte le riforme che, sempre più a fatica, tengono in piedi il paese ancora oggi.
Il nuovo diritto di famiglia, l’introduzione del servizio civile e dell’obiezione di coscienza, l’ abolizione dei manicomi e la legge Basaglia, la legge sull’interruzione di gravidanza, il sistema sanitario nazionale, leggi davvero mirate alla salvaguardia dei diritti civili e delle minoranze. E perfino la riforma della Rai, non più sotto il controllo del governo ma del parlamento.
Il terrorismo riuscì nell’intento di interrompere lo slancio degli italiani e di mortificare la memoria di quelle conquiste. Quello slancio che fu ucciso con Aldo Moro il 9 maggio del 1978.
Ma quel giorno, il 12 maggio 1974, i cittadini con il voto rintuzzarono il tentativo di spostare a destra l’asse politico del paese. E capirono di avere dei diritti proprio in quanto cittadini e non sudditi e che quei diritti dovevano valere per tutti, comunque la si potesse pensare. Un giorno da spiegare ai tanti nati dopo e da ricordare con gioia.
E quello fu anche il primo referendum abrogativo nella storia della Repubblica. Forse ci tornerà ancora utile se davvero si consumerà lo scempio della legge sul premierato. Anche se mezzo secolo dopo tutto è davvero cambiato, non tutto in meglio.


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