Basterebbe riascoltare “I treni per Reggio Calabria”, oppure “Lamento per la morte di Pasolini”, per cogliere fra i brividi la grandezza assoluta di un’artista come Giovanna Marini, scomparsa a ottantasette anni nella sua Roma, dopo una breve malattia.
Amava definirsi “cantastorie”, sappiamo che è stata e sempre sarà molto di più. Studiosa, ricercatrice, cantante e chitarrista che aveva approfondito lo studio dello strumento a sei corde nientemeno che con Segovia, a partire dagli anni Sessanta si dedicò al recupero e alla divulgazione della tradizione musicale popolare di casa nostra. Oggi “Bella ciao” è universalmente famosa, ma il merito di averla fatta cantare in tutto il mondo va originariamente a un suo spettacolo con il Nuovo Canzoniere Italiano, al Festival dei Due Mondi di Spoleto del 1964.
La frequentazione con Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini, la collaborazione con gli etnomusicologi Roberto Leydi e Gianni Bosio, con Dario Fo, Paolo Pietrangeli, Ivan Della Mea, Gualtiero Bertelli, e poi i Dischi del Sole, e la Scuola Popolare di Musica di Testaccio a Roma, che contribuì a fondare nel 1975. La sua discografia è ricchissima, quasi infinita, ma va citato almeno “Il fischio del vapore”, realizzato nel 2002 con Francesco De Gregori, almeno per il merito di aver fatto conoscere anche ai più giovani alcune delle perle della nostra canzone popolare.
Giovanna Marini è stata la colonna sonora di un’Italia che guardava con speranza e fiducia al futuro, dopo la tragedia del fascismo, della guerra, della povertà. Un’Italia che forse e purtroppo non c’è più, o sopravvive residuale sotto gli attacchi di una destra al governo mai così pericolosa.