Nel quartiere residenziale di Flaminio a Roma, un antico palazzo custodisce un’importante memoria legata a Giacomo Matteotti, il primo martire della Resistenza al fascismo. Tuttavia, una targa commemorativa affissa da un inquilino alcuni anni fa ricorda il tragico 10 giugno 1924, senza però menzionare esplicitamente la matrice fascista: “Qui abitava Giacomo Matteotti quando, il 10 giugno 1924, uscendo di casa, andò incontro alla morte”. Secondo la referente per le targhe commemorative e la Memoria del Campidoglio, questa targa venne affissa “senza autorizzazione”. Per questo motivo, la sovrintendenza capitolina ai beni culturali ha chiesto “con urgenza” un parere vincolante per l’affissione di una nuova targa che ricordi l’uccisione di Giacomo Matteotti.
Dopo un acceso dibattito, i tredici condomini hanno votato a maggioranza contro. Il motivo: la targa proposta dal Comune è stata giudicata “troppo impattante”. Il municipio, d’intesa con la Fondazione Matteotti, aveva proposto questa dicitura: “In questa casa visse Giacomo Matteotti (1885-1924) fino al giorno della morte per mano fascista. Roma pose cent’anni dopo in memoria del martire del socialismo e della democrazia”.
Questo dibattito riflette la complessità di una memoria storica condivisa, trascinando ancora oggi con sé la vergogna di una storia macchiata dalla violenza fascista. Mentre il palazzo di via Pisanelli rimane immobile, la questione della targa di Matteotti continua a scatenare polemiche alla vigilia delle celebrazioni per il centesimo anniversario della morte del deputato socialista.
In occasione del centenario della morte di Giacomo Matteotti, brutalmente assassinato da cinque squadristi fascisti, il ritratto del primo martire della Resistenza al fascismo si congiunge con il cartello di Albe Stainer, creato dopo la morte dello zio. Fu proprio l’assassinio di Matteotti a far maturare in Albe, che all’epoca dell’omicidio aveva undici anni, la coscienza antifascista. Disegnò il volto del Duce con la scritta «Abbasso Mussolini, gran capo degli assassini» e lo mise in mostra nell’atrio di casa, rischiando molto. Anche se lo definì il suo “primo manifesto stradale” e quel gesto – il disegno e la sua esibizione nell’atrio di casa – segnò la sua volontà di diventare grafico e, soprattutto, un fervente antifascista.
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