Quello targato 2024 è un 1° maggio speciale per me: il prossimo 11 luglio, Napolitan.it, il mio progetto editoriale indipendente, compie 10 anni. Un traguardo impensabile all’inizio dell’avventura e forse lo è ancora di più in dirittura d’arrivo, considerando la crisi che dilaga nel settore dell’editoria e che costringe i giornalisti a fare i conti con i tagli, il precariato, ma anche le altre limitazioni che incidono pesantemente sul nostro lavoro. Tante volte, in questi anni, ho provato a immaginare che giornalista sarei oggi, senza “Napolitan”: “il mio bambino”. Non a caso ho scelto come logo del giornale un embrione. Avevo trent’anni quando l’ho fondato, ma mi era apparso chiaro fin da subito che se avessi inteso garantirgli una vita lunga avrei dovuto crescerlo e proteggerlo come un figlio. E forse anche per questo, nell’arco dei dieci anni ormai trascorsi, non sono diventata mamma.
“Napolitan”, il mio bambino, è un incubatore di sogni: quello di vedere riscattato il mio quartiere, Ponticelli, perennemente in ostaggio delle logiche camorristiche, ma soprattutto quello di una ragazza che sognava di cambiare quella realtà con le parole e ha macinato chilometri e sacrifici per diventare una giornalista.
Fin da subito ho compreso che dovevo credere in me stessa, se non volevo costringermi a una vita da precaria, mentre muovevo i primi passi nel mondo del giornalismo, destreggiandomi tra direttori e ‘senatori del mestiere’ che sembravano mi facessero una gentile concessione permettendomi di pubblicare i miei articoli gratuitamente sui loro giornali, facendomi carico delle spese necessarie per raggiungere i luoghi da raccontare.
Per fondare un sito, garantirgli una base solida e una continuità di almeno due anni, occorre un investimento iniziale considerevole. Motivo per il quale, iniziai a lavorare come brand advisor di una nota multinazionale del tabacco. Trascorrevo otto ore al giorno in tacchi a spillo e minigonna e quando mi venivano proposti gli extra non mi tiravo mai indietro. I piedi mi facevano male da morire, ma stringevo i denti, sorridevo e pensavo al mio obiettivo.
Quando è nato “Napolitan” sapevo che stavo realizzando un sogno ambizioso e che di salite ripide lungo il cammino ne avrei incontrate tante, ma ero e sono abituata a stringere i denti e andare avanti, senza perdere di vista l’obiettivo.
Oggi so di aver costruito un osservatorio perenne sulle dinamiche camorristiche di Ponticelli e mi rendo conto che questo era l’unico percorso possibile per raccontare quotidianamente quello che accade in un unico quartiere e al contempo concedermi il lusso di lavorare su un’inchiesta per mesi. Eppure, mai avrei immaginato che avrei messo a repentaglio la mia incolumità per poterlo fare.
Appena un anno dopo la nascita del “mio bambino”, la camorra di Ponticelli mi ha fatto capire che il mio lavoro era scomodo: le aggressioni del 2015 hanno fatto da apripista a una lunga collezione di minacce, ma ciò non ha minimamente scalfito il mio entusiasmo.
Anche oggi, malgrado si celebri la Festa del Lavoro, trascorrerò la giornata a scrivere articoli per non lasciare “il mio bambino scoperto”, ma non mi pesa. È il mio modo di festeggiare: malgrado le minacce della camorra, mi sento fortunata, perché sono una giornalista libera.