Si chiamava Francesco Daveri, durante la resistenza, riuniva nel suo studio un gruppo variegato di persone animate da un unico scopo: restituire la “Santa Libertà” all’Italia. Lo avevano soprannominato “l’avvocato dei poveri”, perchè non si faceva pagare da chi si trovava nei guai per qualche motivo e non era in grado di sostenere le spese. Era nato, viveva e lavorava a Piacenza. Pagò la sua libertà di pensiero con una persecuzione ingiusta (lui, un avvocato che credeva nella giustizia), l’esilio in Svizzera, il tradimento, da parte di qualcuno che conosceva le sue mosse, l’arresto e poi il lager di Bolzano, e da lì a Mauthausen e Gusen, dove morì. Aveva solo 42 anni, era papà di 6 figli, di cui non poté conoscere l’ultima.
Questa la vicenda narrata nel romanzo storico “L’Avvocato di Dio” di Leili Maria Kalamian. Ma il romanzo non vuole solo essere un altro modo di raccontare la Storia, anche se può avvicinare chi non legge saggi, come ha affermato Sandro Beretta, editore di Le Piccole Pagine che lo ha pubblicato. Un romanzo storico, pur nel rispetto del “vero per oggetto” (come vuole Manzoni), per la giovane autrice, deve anche sapere restituire la parte perduta della Storia: la vivezza dei dialoghi delle riunioni degli eroi della nostra Resistenza, o lo sguardo e la voce di Daveri, ad esempio.
Ma chi era Daveri? Fino a 6 anni fa non lo sapeva nemmeno l’autrice, che si è imbattuta quasi per caso, tra le carte di suo nonno, l’avvocato Gardi, in un santino funebre, con la foto dell’amico accostata a quella del tremendo campo di concentramento di Gusen (Mauthausen). Poi ha rintracciato il nipote, il celebre omonimo economista Francesco Daveri, morto nel 2021.
Il nonno, nel suo dolore vivo di amico, non aveva raccontato quasi nulla e la città di Piacenza, nonostante una via e una galleria intitolate al patriota, alcune targhe commemorative anche in tribunale, pareva aver dimenticato questo illustre concittadino che fu la “mente” della Resistenza piacentina e collaborò con gli ambienti resistenziali cattolici di Milano, in stretto contatto con Ferruccio Parri.
Quando cadde il governo Mussolini, ne bruciò pubblicamente il ritratto e, appena fu costituita la RSI, dovette pagare con l’esilio il suo atto, ma non seppe starsene con le mani in mano e si rese disponibile per missioni in collaborazione con i servizi segreti inglesi, tanto da venire nominato Ispettore per l’Emilia Romagna con l’incarico del CLNAI di provvedere agli approvvigionamenti. Incarico che attirò diverse invidie, tanto che qualcuno parlò e, nella sua ultima missione a Milano, fu catturato, torturato nel famigerato Hotel Regina e inviato a San Vittore, dove non beneficiò dell’amnistia natalizia, proprio perché riconosciuto.
Da lì fu inviato ai campi di Bolzano, Mauthausen e Gusen, dove morì il 13 aprile 1945, qualche giorno prima dell’arrivo degli Americani, il 5 maggio.
La grandezza di Daveri è nell’aver incarnato nella sua vita il motto di Azione Cattolica, “PREGHIERA, AZIONE, SACRIFICIO”. La PREGHIERA era parte viva e fondante del suo essere cristiano, lo ancorava al BENE e gli dava la forza di sentire tutti fratelli, anche i comunisti atei. È in questa visione INCLUSIVA, corale della Resistenza, che Daveri seppe raccogliere un gruppo di avvocati e altre persone di diversi mestieri e partiti politici, accomunati dallo stesso, vibrante desiderio di libertà.
Accanto alla preghiera, per Daveri c’era la formazione continua, all’interno di AC: con Mons. Civardi aprì lo Studium Christi, un laboratorio di coscienze cristiane attive, coinvolgendo Don Mazzolari, Aldo Moro, il futuro papa Montini, con l’amico d’infanzia avvocato Trebeschi.
Ma non solo la preghiera lo sosteneva: egli fece dell’AZIONE, ovvero l’adesione alla Resistenza, il fulcro del suo essere cristiano nel mondo: si spese generosamente per gli altri, per la Patria. Visse la politica come un servizio per attuare la concordia tra le persone che agivano per la libertà nella giustizia, priva di vendetta, ma conforme al Bene.
Così Daveri vedeva la Resistenza, la lotta per la “Santa Libertà”, l’umano contro il disumano, come P. Turoldo e Don Mazzolari (e Daveri, non a caso, andò in esilio solo con due suoi libri).
Infine, il SACRIFICIO. Nel romanzo ci sono due lettere in apparente contrasto: nella prima, Daveri si diceva in obbligo di salvarsi per il bene della famiglia, nella seconda (l’addio alla moglie) dichiarava di sentirsi in dovere di agire per la Patria. Tra le due lettere c’è il suo calvario: la libertà alla fine, di donarsi per il Bene della Patria e della Famiglia che ne fa parte, fino a morire nel lager. Ed eccolo offrire le ultime forze per tenere un gruppo di preghiera nella sua baracca, come testimoniarono i sopravvissuti, e offrirsi come pane che entra in un forno terribile ed esce unito al suo Signore, in aderenza totale al suo Gesù, fino alla morte.
Nel 2023 è stata posta una pietra d’inciampo in via Garibaldi 83 a Piacenza, per commemorare il patriota, e quest’anno 18 classi di Piacenza e Provincia hanno adottato il libro come narrativa a scuola e hanno lavorato sulle tracce di Francesco Daveri, scoprendo questa figura così attuale e importante anche per l’educazione delle nuove generazioni. Un esempio di come si può e si deve essere antifascisti, cattolici e laici insieme, fino al sacrificio estremo, per recuperare la libertà perduta.