Moby Prince, stavolta indagare fino in fondo

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Tre punti, tre piste ancora da indagare, stavolta fino in fondo, per ricostruire “l’ultimo 15% di verità” che ancora manca per capire il perché della strage del Moby Prince. La percentuale, netta come i risultati della seconda commissione parlamentare di inchiesta sulla morte dei 140 passeggeri del traghetto la notte del 10 aprile 1991 a Livorno, l’ex presidente Andrea Romano l’ha illustrata in audizione stamattina alla prima seduta della terza commissione presieduta dal deputato FI Pietro Pittalis, già suo vice nei precedenti lavori. A palazzo San Macuto, quasi nelle stesse ore delle celebrazioni del 33°anniversario a Livorno, il passaggio di testimone è avvenuto nel segno della condivisione della metodologia: approccio scientifico, guerra alle dietrologie, sinergia e condivisione delle risultanze con la procura di Livorno che indaga per il reato di strage.

Dopo due anni e diversi mesi di incertezza sulla sua operatività, la nuova commissione, la terza dopo il lavoro di decostruzione delle verità giudiziarie di quella presieduta dal senatore Silvio Lai e dopo l’opera di ricostruzione dei fatti avviata da quella di Romano, è pronta a ripartire proprio da dove la precedente aveva interrotto, a causa della fine della legislatura. Indagherà sulla posizione della petroliera Agip Abruzzo, su cui il Moby si scontra incendiandosi pochi minuti dopo la sua partenza dal porto, mentre era diretto ad Olbia. Ancorata in un punto vietato, Eni, che ha ereditato le carte della flotta Snam, non ha mai fornito una versione dei fatti spiegando che i documenti dell’inchiesta interna sul disastro non esistono più, e facendo cadere finora anche l’eventualità della visita di una delegazione ufficiale della commissione per accertare l’esistenza o meno di materiali utili. Serve invece chiarire perché la petroliera era ferma in quel punto e soprattutto in quali attività fosse impegnata, alla luce della presenza di un bocchettone esterno nel momento dell’incidente. Così come occorrerà ripercorrere le vie diplomatiche che ad oggi non hanno permesso di accedere ai dati dei satelliti militari relativi a quella notte. Sia l’ambasciata russa che quella statunitense non hanno collaborato. Le informazioni satellitari ottenute per le nuove verifiche sulla posizione sulla petroliera e delle imbarcazioni presenti in rada e al porto la sera dell’incidente, vengono dal satellite del servizio meteorologico USA, dati desecretati nel 2019. L’accertamento più complesso però potrebbe essere quello sulla “terza nave”, l’ostacolo che secondo le ricostruzioni della Commissione Romano sfiora il traghetto e ne determina il cambio di rotta improvviso, all’origine della collisione con la petroliera. I dubbi su navi presenti nel porto come la “Oktobar II” e un’altra imbarcazione, entrambe appartenenti alla controversa flotta di pescherecci italo-somala Shifco, coinvolta in vicende di traffici di armi, erano già stati oggetto di indagine ed erano presenti nella stessa richiesta di archiviazione del 2010 dell’inchiesta bis sul Moby. Così come è da accertare la presenza e l’attività in concomitanza dell’incidente di bettoline che effettuavano trasporti di merci o liquidi per conto di navi più grandi. Tracce, indizi e “incoerenze” dovranno dare un’identità ad un’ imbarcazione rimasta un fantasma in molte carte e in molte ipotesi.

Anche l’accordo assicurativo lampo tra l’armatore del traghetto, all’epoca la Nav.Ar.Ma, con Eni/Snam/Agip, sarà ancora al centro delle verifiche della nuova commissione. Un “patto” rimasto segreto fino alle indagini della prima commissione e firmato pochi mesi dopo l’incidente, che sembra evitare accuse e contenziosi reciproci con un doppio risultato. Silenziare per lungo tempo l’accertamento delle responsabilità e accreditare un’unica narrazione collettiva: fu colpa del traghetto. Fu colpa delle vittime.


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