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Processo Regeni, il padre: “Tradito da un sindacalista”. L’amica: “Disse: qui repressione politica”

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Terza udienza del processo contro gli 007 egiziani, accusati del rapimento, delle torture e dell’uccisione del ricercatore friulano. Le testimonianze in aula di Claudio, il padre, e di un’amica. Al sit-in anche Articolo 21. La scorta mediatica continua come sempre in questa lunga e complessa battaglia per capire cosa è accaduto al ricercatore italiano.

“La persona che ha tradito Giulio è stato il sindacalista (Mohamed Abdallah, ndr). Questo aveva amareggiato la docente della American University del Cairo dove mio figlio collaborava” ha rivelato Claudio Regeni, papà di Giulio, ascoltato in aula nel processo in corso davanti alla I Corte di Assise di Roma, procedimento in cui sono sotto accusa quattro 007 egiziani per l’uccisione del ricercatore friulano rapito, torturato e ritrovato cadavere in Egitto nel gennaio-febbraio 2016.

In aula gli inquirenti hanno depositato la registrazione audio del colloquio avvenuto nel dicembre 2016 tra i genitori del ragazzo e la docente, che era il suo contatto al Cairo. “Lei aveva una ottima opinione di Giulio, era molto amareggiata di quanto avvenuto” ha detto Claudio Regeni. Nel corso della mattinata, durante l’udienza, è stata ripercorsa l’intera vicenda umana di Giulio, dall’infanzia nella natia Fiumicello, “un paese non lontano da Aquileia e Grado”, all’iter di studio.
“Per 42 anni sono stato impiegato in una società americana – ha detto ancora Claudio -, mia moglie ha fatto l’insegnante e poi collaborava con l’università di Trieste. Io per alcuni anni, da adolescente, ho vissuto con la mia famiglia in Australia. Poi mio padre decise di tornare in Italia ed aprì una panetteria a Monfalcone. Con i miei figli (Giulio e Irene, ndr) abbiamo fatto molti viaggi: in Francia, Spagna, Portogallo, il Nord Europa e Capo Nord. Andavamo prima in tenda e poi in camper”

Rispondendo alle domande del pm Sergio Colaiocco, Claudio Regeni si è poi soffermato sul percorso di formazione del figlio: dagli inizi al liceo linguistico e alle esperienze nel Consiglio comunale dei giovani, Giulio era andato negli Usa, in New Mexico, nel college del Mondo Unito, “non lontano da Santa Fè”. Poi il trasferimento in Inghilterra, a Leeds, il baccalaureato internazionale, e la passione per la lingua e le tradizioni arabe. “Lui conosceva l’inglese, lo spagnolo, il tedesco, ma studiava anche francese e gli piaceva molto l’arabo”.
“Il sogno di Giulio era rendersi indipendente e trovare un lavoro che valorizzasse le sue capacità. La sua grande passione era lo studio: non è mai stato alle dipendenze di autorità italiane, inglesi ed egiziane. Non hai mai neanche collaborato” ha precisato in aula il padre di Giulio. Nel corso dell’audizione, il papà di Giulio ha raccontato anche le passioni e le attitudini del figlio. “Lui era appassionato di materie umanistiche. Fin da piccolo ha viaggiato con noi intorno al mondo”.

In aula sono state mostrate foto dell’adolescenza di Regeni e il procuratore aggiunto ha chiesto anche dello stile di vita. “Viveva in modo non sfarzoso, vestiva in modo casual. Dopo la sua morte, sul conto corrente che avevamo cointestato, c’erano poco più di 1400 euro. Poi aveva un conto corrente presso una banca inglese per le spese quando viveva in Inghilterra. Su questo c’erano versamenti della società Oxford Analytica, dove aveva lavorato, qualche piccolo rimborso dall’università di Cambridge per il dottorato. Il saldo era di circa 6000 sterline”.
“L’ultima volta che ci siamo sentiti, il 16 gennaio del 2016 via chat, mi ha detto che in Egitto c’era moltissima repressione politica ed era contento di tornare a Cambridge in primavera” ha poi raccontato un’amica di Giulio. La testimone ha poi riferito dell’incontro avuto col ricercatore nel Natale del 2015: “Ci siamo visti, mi ha raccontato della sua ricerca al Cairo, che stava passando molto tempo con i venditori ambulanti, che teneva un profilo molto basso, che era molto stancante” ha aggiunto la donna.
“Siamo qui per non mollare sulla richiesta di verità e giustizia, Articolo 21 dal primo momento ha tenuto i riflettori accesi su questa incredibile storie di depistaggi e ritardi”, ha detto il coordinatore nazionale dei presidi di Articolo 21, Giuseppe Giulietti.
(Nella foto piazzale Clodio prima dell’inizio dell’udienza con la scorta mediatica per Giulio e la sua famiglia)


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