Il parlamento di Tel Aviv ha approvato una legge rozza e liberticida, che conferisce al governo la facoltà di chiudere le voci ritenute pericolose per la sicurezza nazionale. Chiamala con il suo nome: la fine di Al Jazeera. L’emittente all news, capace di parlare al mondo informandolo su ciò che accade in aree del mondo considerate dai media dominanti minori o poco pregiate per l’agenda delle priorità stabilite dall’asse nord-occidentale bianco e privilegiato, secondo l’esecutivo presieduto da Benjamin Netanyahu ha passato il segno. Mettere gli occhi e la testa nella mattanza in corso a Gaza è intollerabile, perché l’eccidio in corso va almeno un po’ coperto e manipolato. La stazione con sede nel Qatar ha pagato con un diretto tributo di sangue il suo coraggio, a partire dall’uccisione del figlio del responsabile Al-Dahdou per passare a diversi giornalisti colpiti dai cecchini israeliani, malgrado le apposite scritte Press. Oltre un centinaio di operatori dei media non sono più tornati dalla zona del conflitto, e con loro soccorritori o garanti del passaggio degli aiuti umanitari. Siamo al cospetto di una vicenda orribile e dalle conseguenze inimmaginabili, malgrado la costante voce disperata di Papa Francesco. La chiusura minacciata di Al Jazeera fa il paio con il divieto imposto alla Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati -Francesca Albanese- di mettere piede nella zona. Come fu per i predecessori. Insomma, il sipario si deve abbassare e la licenza di uccidere diviene la legge. La stazione televisiva di cui si vorrebbe l’interruzione è, in verità, assai simile nella qualità a sigle storiche e blasonate come la BBC e France International o la stessa CNN. Anzi, la redazione ricca di corrispondenze illumina zone neglette come il Sud Sudan o lo Yemen, ad esempio. C’è un precedente, per così dire geopolitico. Quando i maggiorenti (l’Italia c’era, a parte il presidente del consiglio poi divenuto senatore Matteo Renzi, o no?) pensarono che il Qatar andasse sostituito nelle attività diplomatiche con l’Arabia Saudita, la stella di Al Jazeera cominciò a declinare. Intendiamoci, qui non ci sono buoni e cattivi. Tutti sono cattivi e la scena assomiglia -con rispetto parlando- ai film western di Sergio Leone, senza Ennio Morricone. Spari, agguati, torture, mattanze. E l’informazione, sempre più nell’età degli algoritmi e del mercato dei dati, non è il racconto, bensì il diretto protagonista della guerra. Ecco il peccato mortale di Al Jazeera: cercare la verità, sfidando le interpretazioni ufficiali ed entrando nei luoghi preclusi dove accadono cose inaudite, che la fatica pur coraggiosa delle inviate e degli inviati europei riesce solo a far intravvedere. Insomma, siamo di fronte ad un ulteriore passaggio della virulenta scelta autoritaria e colonialista del governo israeliano.
Come si vede, a parte il filologico dibattito sulla correttezza o meno del termine genocidio (il rapporto della Albanese si intitola appunto «Anatomia di un genocidio»), come vogliamo definire l’azzeramento della libertà di informare ed essere informati?
Già il 15 maggio la sede di Gaza venne bombardata e ora si vuole chiudere definitivamente la pratica. Va segnalato, tra l’altro, che l’emittente è un piccolo gioiello tecnologico, avendo fin dal suo sorgere utilizzato il satellite di diffusione diretta e costruendo un vastissimo archivio consultabile in modo aperto secondo le logiche evolute dei Creative Commons, contro lo spirito angusto e chiuso del copyright. Ci auguriamo davvero che la federazione internazionale dei giornalisti e l’intero mondo democratico insorgano, mettendo in mora le attività comunicative del regime israeliano. Non è accettabile che si oscuri una voce libera e che si ingaggi una gara assai poco commendevole a chi è peggio: tra Israele, Ungheria, Russia, Iran e così via. Così come se venisse condannato Julian Assange subirebbe un colpo ferale l’intero diritto di cronaca, se si spegnesse Al Jazeera sapremmo ancor meno del pochissimo che ora sappiamo.
(Da Il Manifesto)