L’analisi della Direzione nazionale antimafia sullo scioglimento del comune di Reggio Calabria
di Lucio Musolino
«Una grave scopertura di organico». Il sostituto della Dna, Francesco Curcio, definisce così la situazione strutturale della Procura di Reggio che, da quasi un anno, è orfana del procuratore capo dopo la partenza di Giuseppe Pignatone. «L’organico della Dda – si legge nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia – è stato aumentato a 12 sostituti, pari al 50% dell’organico dell’Ufficio alla data dell’aumento. In concreto, attualmente, a seguito del trasferimento negli ultimi mesi di quattro componenti della Dda, solo parzialmente compensato dalla nomina di un nuovo sostituto dell’ufficio, fa registrare una grave scopertura di organico. La situazione sotto tale aspetto è particolarmente critica perché lo straordinario impulso investigativo degli ultimi anni ha, ovviamente, generato un massiccio incremento delle attività dibattimentali con la conseguenza che i magistrati della Dda sono assorbiti in modo rilevante dai pesanti impegni di udienza anche presso le lontane sedi di Palmi e Locri che (a parte i connessi rischi) richiedono continui e quasi giornalieri spostamenti dal capoluogo, che possono essere di alcune ore. Tale situazione di difficoltà ha imposto il frequente ricorso alla coassegnazione di procedimenti a magistrati non addetti alla Dda. Nel periodo in esame (1 luglio 2011 – 30 giugno 2012) i provvedimenti in questione sono stati ben 145».
Coassegnazioni che, a volte, hanno lati positivi in quanto «anche l’attività investigativa della Procura ordinaria è un osservatorio privilegiato dal quale possono trarsi utili indicazioni sulle dinamiche, sui collegamenti e sugli interessi del crimine organizzato». Il sostituto Curcio punta il dito contro «l’inefficienza degli apparati pubblici funzionali a creare consenso elettorale attraverso la creazione di spazi di intermediazione parassitaria». Inefficienza che «genera dinamiche criminali dietro cui si nascondono collegamenti e collusioni tra la pubblica amministrazione, specie quella locale, e la ‘ndrangheta. Sono proprio questi i settori delle istituzioni, come si è visto nella trattazione generale sul fenomeno ‘ndranghetistico, in cui la criminalità organizzata ha saputo infiltrarsi, dimostrando capacità di sfruttare a proprio vantaggio l’inefficienza, la permeabilità e la corruzione degli apparati pubblici. E anche da questi procedimenti “ordinari” sono nati spunti investigativi di rilievo, idonei ad illuminare quell’area grigia, intendendo con tale espressione quei settori della vita sociale ed istituzionale che si prestano ad a colludere con la criminalità organizzata».
Curcio cerca di essere più esplicito e, nella relazione annuale della Dna, fa un passaggio sul provvedimento del ministero dell’Interno che a ottobre ha sciolto per contiguità mafiose l’amministrazione di Palazzo San Giorgio: «Insomma – scrive il magistrato della Dna – come dimostra anche la vicenda dello scioglimento del Comune di Reggio Calabria, tale area istituzionale in cui si realizza la collusione si è trasformata in una stabile rete di rapporti e relazioni esterne delle organizzazioni mafiose, anche grazie al (voluto) tasso di inefficienza e corruzione dell’apparato amministrativo. Colpire i meccanismi di questo grave fenomeno collusivo costituisce la premessa indefettibile per spezzare i rapporti ed i collegamenti operativi tra organizzazioni mafiose ed apparati istituzionali inefficienti e corrotti».
* giornalista – “Corriere della Calabria”