“Pacifiction-Un mondo sommerso”, di Albert Serra, Spa-Fra-Ger-Port., 2022.

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De Roller, uno straordinario Benoit Magimel, è l’alto commissario della Repubblica nella Polinesia Francese. Deve indagare sulla presunta presenza di un sottomarino che si aggirerebbe intorno a Tahiti. Se i sospetti fossero confermati, sarebbe inevitabile la ripresa degli esperimenti nucleari in quella stessa zona, Mururoa, dove nel 1995 si verificò un grave “incidente” costato la contaminazione di oltre 110000 persone.

Lo spagnolo Albert Serra fa di un luogo circoscritto, Tahiti, la metafora del mondo, oggi, sostanziandola nella dimensione, per dirla con Eastwood, del Potere assoluto, incontrollato ed incontrollabile. Tutto è straniante ed impercettibile, ambienti e persone, che si muovono come fantasmi alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che mai si troverà. Il grande regista catalano usa la luce e il buio polinesiani come il bianco e nero di un noir americano anni ’40, reso ancora più enigmatico dall’illusione che i colori possano aiutarci a vedere chiaro ciò che non lo è, e mai lo è stato. Il fuoricampo domina, il non visto diventa il focus centrale di un film mai così cieco e insieme così geometrico nella sua volontà di raccontare l’irraccontabile. Degno delle migliori coordinate langhiane, l’opera di Serra disegna la natura del Potere come un Leviatano totalizzante, capace di dominare le azioni e, soprattutto, le menti di chi cerca di avvicinarvisi. Molto vicino a “Le spie”, 1957, capolavoro del genio di Henri-Georges Clouzot, nella capacità di lavorare per accumulo nei vuoti della realtà, fino a dirompere in una lucida afasia, il sorprendente film dell’autore catalano prende a prestito “l’inafferrabile” antonioniano e quello dei suoi epigoni d’oltreoceano, da “La conversazione” di Coppola, 1974, a “Bersaglio di notte”, di Arthur Penn, 1975, per inoltrarci lungo atmosfere di dissoluzione di ogni verità. E l’inquietudine cresce a dismisura nello spettatore perchè in gioco sono le sorti stesse dell’Umanità, incastrata dentro i meccanismi irriconoscibili, e pronti a mutarsi all’occorrenza quando non lo fossero, del Potere, che possiamo soltanto intuire terrificanti e spaventosi perchè disumani proprio perchè tanto umani. Insomma, un film, questo di Serra che continua il discorso del Peckinpah del geniale e minaccioso “Osterman weekend”, 1983, svincolandosi da trame thriller per addentrarsi nella psicologia di un uomo, De Roller, che tutti ci rappresenta, impietrito dalla paura ma costretto, comunque, ad agire inutilmente, come una marionetta obbligata a giocare fino all’inconoscibile esito.

 


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