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Nel verdetto su Assange è in gioco la democrazia

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In gioco non c’è soltanto la libertà di un giornalista, Juliane Assange, fondatore di WikiLeaks, che ha consentito ai cittadini di tutto il mondo di essere informati sui crimini commessi in Iraq e in Afghanistan. In gioco c’è la libertà di stampa e, quindi, la democrazia. Proprio per questo, la Relatrice speciale dell’Onu contro la tortura, Alice Jill Edwards, ha chiesto alle autorità inglesi di fermare l’estradizione di Assange che, oltre a determinare danni irreparabili sul fondatore di WikiLeaks, avrebbe gravi ripercussioni sul giornalismo in tutto il mondo.

Le udienze dinanzi all’High Court inglese si sono concluse e adesso tutti sono in attesa del verdetto che dovrà stabilire se Assange ha diritto di chiedere un ulteriore accertamento sull’estradizione già concessa dal Regno Unito agli Stati Uniti o se lo attende un processo negli Usa che potrebbe portarlo a una condanna fino a 175 anni di carcere. Sin dal momento in cui Assange è stato costretto a una detenzione arbitraria – prima, in modo sostanziale, nell’ambasciata ecuadoregna e poi nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh – è stato assestato un colpo alla libertà di stampa, con un sicuro chilling effect su ogni altro giornalista che voglia fare luce su fatti scottanti, come la commissione di crimini di guerra, di sicuro interesse pubblico.

Con una decisione del 2022, l’allora ministro dell’interno inglese aveva stabilito che Assange, in base al Trattato Stati uniti – Regno Unito, potesse essere estradato. Adesso il fondatore di WikiLeaks chiede di poter impugnare quel provvedimento.

Se fosse dato il via libera definitivo all’estradizione, ad Assange non resterebbe altro che tentare un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. In particolare, il Regno Unito potrebbe essere accusato di aver violato le seguenti disposizioni: l’articolo 10 che assicura il diritto alla libertà di espressione; l’articolo 5, che stabilisce precise condizioni nei casi di limitazioni alla libertà personale (5 anni in un carcere di massima sicurezza in attesa dell’estradizione sono davvero troppi); l’articolo 3 che vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti; l’articolo 8 sul diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Attraverso l’articolo 39 del regolamento della Corte, la difesa di Assange potrebbe chiedere ai giudici di Strasburgo di adottare misure provvisorie e, tenendo conto dei gravi rischi di violazione dei diritti convenzionali che Assange potrebbe subire una volta negli Stati Uniti, di bloccare l’estradizione. Sinora i giudici inglesi non sembrano allineati alla giurisprudenza di Strasburgo. Con una prima pronuncia, per motivi di salute, il tribunale inglese aveva bloccato l’estradizione, ma a seguito dell’appello degli Stati Uniti aveva poi ritenuto che la consegna fosse compatibile con la stessa Convenzione. Così non è perché, in diverse occasioni, la Corte ha garantito la massima protezione alla divulgazione di notizie di interesse pubblico finanche nei casi in cui siano state violate norme penali interne o sussistano ragioni di sicurezza nazionale addotte dallo Stato per frenare la divulgazione di fatti scottanti. Basti pensare al caso Halet contro Lussemburgo con il quale la Grande Camera di Strasburgo, nel caso Luxleaks, ha riconosciuto che un individuo che divulga informazioni riservate deve beneficiare della tutela assicurata dall’articolo 10 della Convenzione in tutti i casi in cui vi sia un interesse della collettività a ricevere determinate informazioni.

I giudici nazionali – aveva scritto la Corte – avrebbero dovuto far prevalere il predominante interesse pubblico della collettività a ricevere informazioni riservate e avrebbero dovuto tutelare la diffusione di notizie che avevano permesso di discutere delle scelte politiche operate in Lussemburgo anche in termini di equità e di giustizia fiscale. Nella pronuncia Big Brothers Watch e altri c. Regno Unito, la Corte, pur ammettendo che lo Stato potesse attivare un sistema di intercettazioni di massa per la lotta al terrorismo (svelato da Edward Snowden), ha condannato il Regno Unito per le intercettazioni nei confronti dei giornalisti che hanno il dovere di pubblicare notizie di interesse generale, accertando che Londra aveva violato la Convenzione per non avere assicurato la confidenzialità delle fonti.

Nel caso di Assange, la diffusione di notizie è di interesse generale tanto più che i fatti denunciati potrebbero costituire la base per azioni penali, anche a livello internazionale, nei confronti degli autori dei crimini. Ma la realtà deve spesso fare i conti con un verdetto. Che non è mai scontato.

Fonte: “Il Manifesto”


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