BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Verifica di un futuro raccontato 30 anni fa

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“Rivoluzione addio. IL FUTURO DELLA NUOVA SINISTRA LATINOAMERICANA”, di Donato di Santo e Giancarlo Summa, prefazione di Furio Colombo, Ed. EDIESSE, 1994, compie trent’anni ed è un libro da rileggere. E’ utile a sostenere un’analisi comparativa con l’odierna attualità e una valutazione approfondita dei diversi presupposti ed esiti. Stimola più d’una riflessione politica: sui protagonisti, sui contesti che li hanno espressi e in cui hanno operato. Con la possibilità di chiarire determinate svolte che possono apparire storiche mentre replicano situazioni già note e degenerazioni delle forme di potere rivoluzionario o restauratore, i cui prodromi in certi casi vennero avvertiti in anticipo. Testimonia originalità e punti deboli dei sistemi politico-istituzionali latinoamericani, i prezzi pagati dalle rispettive società civili. La vivacità del coraggioso dibattito seguito alla lotta armata. L’influenza esercitata dagli Stati Uniti e il men che scarso interesse europeo. La Cina era ancora lontana.

Altri tempi. L’euro non esisteva (il prezzo di copertina era 28.000 lire). Il sogno di Ernesto Rossi e Altiero spinelli proseguiva il viaggio da Ventotene a Bruxelles. Scompariva la Democrazia Cristiana. Il PDS, succeduto al PCI, continuava ad aver sede a Botteghe Oscure, che ospitava anche la notissima libreria Rinascita (dove il libro venne presentato da un parterre di richiamo: da Maurizio Chierici a Gianni Minà, Bruno Trentin, Ettore Masina). I primi prototipi di telefoni cellulari stavano inaugurando lo spazio virtuale di Internet. Fiat e Pirelli, controversi simboli della nostra grande industria manifatturiera, manifestavano segni tangibili delle loro difficoltà a competere in Europa. Dopo la rovinosa sconfitta elettorale della “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto, stava per costituirsi il primo governo Berlusconi. Putin era solo uno sconosciuto funzionario della municipalità di San Pietroburgo.

Anche l’America Latina era molto diversa. Il tenente-colonnello Hugo Chavez era in carcere per il tentato golpe del ’92. Lula era un leader già noto, pur se considerato da molti incapace di tessere alleanze sufficienti a vincere le elezioni. L’attuale presidente del Cile, Gabriel Boric, aveva 8 anni. Nessuno pensava che nell’Uruguay del secolare bipartitismo blancos-colorados potesse sorgere e vincere il Frente Amplio con il socialista Tabarè Vàzquez e successivamente la presidenza dell’ex guerrigliero tupamaro Pepe Mujica, un Platone popolare della nostra modernità (per il quale ripetere con l’antico:”Per la buona salute del potere, i filosofi dovrebbero essere re e i re filosofi”). In Colombia, il terrorismo di stato assassinava uno dopo l’altro i dirigenti della coalizione di sinistra Uniòn Patriòtica, le FARC non potevano credere nella pace. Oltre la metà della popolazione latinoamericana era amministrata da sindaci e governatori progressisti.

Tutti scarsamente conosciuti quando non completamente ignorati in Europa. Dove ci si domandava chi fossero quei mayas con i passamontagna che in Chiapas si facevano chiamare zapatistas. Un’insorgenza volontarista dell’indigenismo più dimenticato, che evocava il Messico rivoluzionario del 1910 ed Emiliano Zapata che ne fu il massimo eroe autoctono, il guerrigliero che si circondava d’intellettuali riformatori (plan de Ayala). Alla punta opposta dell’America Latina, in Argentina, governava il peronista-liberista (un vero e proprio ossimoro!) Carlos Menem, che nascondeva l’inflazione sotto il debito pubblico a sua volta occultato da una quasi-dollarizzazione (la cosiddetta convertibilidad, il cambio alla pari tra la moneta nazionale argentina e il dollaro degli Stati Uniti, ideata e voluta dall’ economista Domingo Cavallo) esplosa infine nel disastroso default del 2001.


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