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Nando Dalla Chiesa alla riunione di Articolo 21: le censure alla musica mi ricordano la canzone di Morandi

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Il professor Nando Dalla Chiesa, ospite della riunione settimanale di Articolo 21 parla di questa stagione difficile dell’informazione in Italia, di ricerca, di cui egli stesso si occupa all’Università, e di musica, del Festival di Sanremo, delle censure che ritornano. Tra i tanti riferimenti del suo intervento uno colpisce per la straordinaria attualità, il “taglio” subito dalla canzone di Gianni Morandi “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” ormai quasi 60 anni fa e anche allora di mezzo c’era una guerra. Il paragone è calzante con quanto avvenuto nelle ultime ore con la dichiarazione  ‘Stop al genocidio’ pronunciata dal giovane artista Ghali al teatro Ariston.
“Va difesa la  libertà di espressione e la libertà della musica; – ha detto Dalla Chiesa – quel che vedo è una specie di disastro perché si sta aprendo la porta ad interventi politici futuri su tutte le forme di espressione”.
Alla domanda specifica di Barbara Scaramucci su quanto potrà incidere la norma sui bavagli ai giornalisti nelle inchieste e nella lotta alla mafia, Nando Dalla Chiesa ha risposto che se “sul fronte delle indagini la restrizione non potrà risultare particolarmente importante, è, invece, pericoloso l’impatto sull’informazione, infatti non sappiamo se ci sarà del materiale per sempre inutilizzabile. E’ una cosa che va verificata nella pratica, quando dovesse entrare in vigore la  norma. Siamo comunque preoccupati perché potremmo avere del materiale coperto da segreto per sempre, cioè quello che non si è potuto pubblicare prima non si potrà pubblicare mai più. Per gli studiosi le conseguenze potremmo definirle ‘minori’ ma, nei fatti, bisogna vedere come si interpreta la restrizione. Lo studio della criminalità organizzata ti obbliga a prendere in considerazione interessi sensibili che fanno scattare querele, le quali non sempre vengono fermate all’origine, anzi vengono portate avanti, si va al processo e così via. Noi siamo un paese che ‘esporta” tanta mafia, per certi versi è un po’ una nostra etichetta. Il problema dei nuovi bavagli è che si rischia di non poter raccontare un pezzo di Storia del nostro Paese mentre si svolge. Quindi, con tutte le cautele, il racconto di quello che accade non può essere impedito; si può fermare per un mese, per una settimana…Ma i giornalismo è racconto in tempo reale e questa possibilità va tutelata. Credo che il concetto di una libertà di espressione, di racconto, vada difeso attraverso la creazione di un movimento di opinione largo che parta dai giornalisti e dagli studiosi ma che venga esteso a tutti”.


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