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Stanchi di memoria? Riflessioni sulla Giornata che ricorda tutte le vittime del nazi-fascismo. Intervista a Milena Santerini

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”La Giornata della Memoria è stata fondamentale, ma abbiamo ancora molto da lavorare, soprattutto sui giovani”. Milena Santerini lo dice a voce bassa, ma solo perché in questi giorni i suoi interventi sono richiestissimi e le è spuntata un po’ di raucedine.

Già parlamentare, adesso Milena Santerini è vicepresidente della Fondazione del Memoriale della Shoah di Milano e da anni studia i linguaggi d’odio.

“In questi 24 anni, da quando è stata istituita la Giornata della Memoria abbiamo fatto molto. Abbiamo fatto conoscere la Shoah, ma è vero che nel tempo è diventata retorica, celebrativa, un dovere da assolvere. E questo può aver creato reazioni negative”.

 

Qui forse c’è la prima notizia: abbiamo fatto conoscerela Shoah, dice Milena Santerini, quindi prima di allora non si conosceva? Eppure c’erano fior di scrittori reduci dai campi di sterminio…

”Sì, ma per molti anni, per diversi motivi, è stata studiata in stretta relazione con la Seconda Guerra Mondiale. Negli anni ‘90 i sopravvissuti alla Shoah cominciano a raccontare la loro esperienza. Per ragioni personali, ma anche perché respiravano una recrudescenza del fascismo che li ha convinti che fosse doveroso farlo. In quel periodo abbiamo forse toccato l’apice di curiosità e di rispetto per le vittime della Shoah”.

 

Il racconto di Milena Santerini coincide, ad esempio, con la parabola personale di Liliana Segre che racconta di come fosse emerso il suo bisogno di raccontare la sua esperienza dei lager davanti ai suoi nipoti, non prima.

”Con il tempo le nuove generazioni si sono forse stancate: c’è una stanchezza della memoria. Anche perché si sono sovrapposti nuovi conflitti e i giovani hanno pensato che queste nuove vittime sostituivano quelle del passato”.

 

Questione molto complessa, non solo alla luce dell’ennesima guerra tra Israele e i palestinesi e dell’attesissima decisione della Corte Internazionale di Giustizia sull’accusa di genocidio a Tel Aviv. Innanzitutto perché la legge che istituisce la Giornata della Memoria indica “le vittime dell’olocausto e delle leggi razziali, coloro che hanno messo a rischio la propria vita per proteggere i perseguitati ebrei, nonché tutti i deportati militari e politici italiani nella Germania nazista”: la stessa legge dunque descrive un fenomeno articolato, dove il massacro degli ebrei attuato da nazisti era una parte dell’apparato repressivo delle dittature. E poi, appunto, la storia ha macinato altri inauditi massacri: perché dovrebbero essere figli di un dio minore? Domanda che richiama un’altrettanto complessa discussione: l’unicità della Shoah. Forse chiedere ad una Giornata di sbrogliare questa matassa filosofica, etica, storica e politica è chiedere troppo.

 

Nei giorni scorsi parlando ai consiglieri comunali di Milano Milena Santerini ha dovuto rispondere ad una domanda secca di Daniele Nahum, consigliere del Pd ed esponente della Comunità ebraica milanese. Se c’è una recrudescenza di antisemitismo e anti-arabismo – le ha detto Nahum – vuol dire che la Giornata della Memoria ha fallito.

”Ricordo bene la domanda e ripeto che è vero, viviamo un momento molto difficile. Ma non sappiamo cosa sarebbe successo senza la Giornata della Memoria. Sarebbe stato peggio? Chi lo sa? Sono convinta che sia un appuntamento utile. Non abbiamo fatto abbastanza? Sì, questo è vero. Non abbiamo toccato l’aspetto più profondo del pregiudizio, ecco perché ci sono ancora tanti, troppi “ismi”: l’antisemitismo, antigitanismo, l’islamofobia… E non abbiamo saputo lavorare con i giovani sui temi più attuali, non abbiamo calcolato le loro resistenze a comprendere i fatti del passato. Abbiamo indagato su cosa è accaduto, meno su perché è accaduto, su quali sono stati i meccanismi che hanno provocato la Shoah e che potrebbero ripetersi ancora. Quindi no, non abbiamo fallito ma c’è ancora molto da fare”.

 

L’ultima domanda a Milena Santerini non può che riguardare il mondo della comunicazione e del giornalismo: qual è il confine fra il diritto alla critica e il linguaggio d’odio? Domanda un po’ banale, lo ammetto, però in questi mesi di guerra leggo su Haaretz degli articoli contro Netanyahu che in Italia verrebbero tacciati di antisemitismo…

”Il confine esiste. Non lo vede solo chi non lo vuole vedere. La critica al governo israeliano la facciamo noi, la fanno molti cittadini di Israele, la fa parte del mondo ebraico. Quando invece si afferma che le uniche vittime sono i palestinesi, quando si demonizza Israele, quando usiamo metafore, argomenti, miti antisemiti… Se io dico: “stanno facendo agli altri ciò che hanno fatto a loro” sto distorcendo la storia, perché è drammatico quanto sta accadendo a Gaza ma non è la stessa cosa. Ci sono strumenti giuridici consolidati per stabilire quando è diritto di critica e quando è reato d’odio. Ma il linguaggio d’odio è sempre nocivo, inquina la nostra vita, indebolisce le relazioni sociali, normalizza il disprezzo per le minoranze”.

Danilo De Biasio

direttore della Fondazione Diritti Umani


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