“Per l’Italia sempre… prima e dopo l’8 settembre 1943”: questo è il titolo del calendario dell’Esercito italiano, fortemente voluto, a quanto pare, dalla sottosegretaria alla Difesa Isabella Rauti, esponente di Fratelli d’Italia nonché figlia di Pino Rauti, a suo tempo tra i fondatori di Ordine Nuovo.
La descrizione del calendario recita: “Attraverso la rievocazione di quei tragici eventi si è voluto rendere omaggio agli uomini che a quei fatti parteciparono con l’assoluta consapevolezza di servire la Patria, sia prima sia dopo l’8 settembre 1943, onorando il giuramento prestato. Sono stati pertanto selezionati alcuni ufficiali, sottufficiali e soldati, insigniti della Medaglia d’Oro al Valor Militare per atti eroici compiuti dopo l’armistizio e che si sono particolarmente distinti anche nel periodo precedente”.
Non è nostra intenzione fare altra pubblicità all’iniziativa della signora Rauti e del suo entourage. Ci limitiamo a far presente che, storicamente, l’8 settembre costituisce uno spartiacque. Esistono, infatti, due Italie: quella fascista, alleata dei nazisti, e quella della Resistenza, cui presero parte eccome anche fior di militari. Basti pensare ai martiri di Cefalonia o di Fiesole, tanto per citare due esempi in tal senso. Nessuno di noi ha mai cercato vendette. Il punto è che aveva ragione Enzo Biagi, quando sosteneva che bisogna avere rispetto per tutti i giovani, in particolare per coloro che non hanno avuto un domani, ma che ci sia una differenza non ineludibile fra chi di batteva per la dignità e la libertà della Patria e chi, invece, aveva scelto di schierarsi al fianco di Hitler e delle squadracce di Salò. È il fondamento della Costituzione e della Repubblica democratica, è la nostra storia, è una verità incontrovertibile che nessun revisionismo, neanche se proveniente dall’alto, può mettere in discussione.
Non a caso, ha ragione il deputato di Sinistra Italiana Michele Grimaldi quando parla di “amnesia sulle responsabilità italiane nel Regime”.
E a noi tornano in mente le denunce di chi ha vissuto quegli anni maledetti, soprattutto quando ci ammoniva sulla normalizzazione del fascismo, sul ritenere accettabile ciò che accettabile non è, sul progressivo affievolirsi di quella tensione etica che ha fatto la differenza nelle stagioni migliori della nostra vicenda nazionale e sulle conseguenze che tutto questo comporta. Spiace dirlo, ma stiamo diventando una democrazia solo di nome, mentre vengono smantellati, uno dietro l’altro, i principî sui quali si fonda il nostro vivere civile. E si avvicina il giorno in cui non sarà rimasto nessuno a difendere le conquiste complessive che ci hanno tenuto a galla in questi quasi otto decenni, rendendoci, nel bene e nel male, ciò che siamo.