BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Self – Portrait. Il museo del mondo delle donne. Trentasei artiste raccontate da Melania Mazzucco

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Al giorno d’oggi i libri si consumano molto velocemente, presto spariscono dai banconi dei librai, nuove segnalazioni e recensioni attirano la nostra attenzione e ci distolgono a volte anche da testi che meritano di essere letti.  Lo scorso anno avevo accortamente acquistato appena uscito il libro di Melania G. Mazzucco “Self – Portrait. Il museo del mondo delle donne”, Einaudi, 2022, sicura che prima o poi avrei avuto bisogno di leggerlo e, anche se nel frattempo mi ero dimenticata di possederlo, il momento è capitato adesso.  Già nel 2014 l’autrice aveva realizzato il libro “Il museo del mondo”, Einaudi, in cui aveva raccolto in un suo museo immaginario cinquantadue opere, fra le moltissime che ama ed apprezza, assumendo come unico, arbitrario criterio di scelta Il desiderio. Doveva essere un’opera che aveva visto con i suoi occhi e che desiderava non possedere, ma rivedere: “il desiderio di ascoltarla ancora, consapevole che essa ha tutto da insegnarmi, e non smetterà di parlarmi mai. Ne scrivo appunto per ritrovarla, e rivivere l’esperienza di quell’incontro”. Con altrettanta libertà ha creato “Il museo del mondo delle donne”, non vi è un ordine cronologico, né un canone, né l’ordine della scuola pittorica: “Comincio qui un viaggio – esordisce l’autrice – in trentasei tappe fra opere nelle quali la donna è soggetto. Due volte perché è una donna il soggetto che concepisce e realizza di sua propria mano il quadro, e perché è una donna anche il soggetto dell’opera”.

Apre il libro il capitolo “L’esordio” con L’opera di Elisabetta Sirani Porzia che si ferisce alla coscia (1664), che Mazzucco sceglie come manifesto e autorappresentazione di tutte le artiste che con grande coraggio e determinazione hanno intrapreso la via della pittura, sottraendosi non senza sofferenze e difficoltà a un destino per loro predeterminato in quanto donne. Inizia poi il suo  viaggio nella vita e  nel lavoro di trentasei artiste. Le loro trentasei opere scelte  sono sgranate lungo un filo rosso che si srotola attorno ai seguenti temi: nascita e infanzia, adolescenza, giovinezza, erotismo, gravidanza, aborto, sessualità, sorellanza, vita da madre,  vita da donna sola, vita da moglie, lavoro, madri orfane, vecchiaia. E’ un viaggio entusiasmante per le molte scoperte a cui ci conduce; l’autrice sintetizza in ciascun capitolo con grande sapienza la biografia di un’artista e l’interpretazione acuta e profonda di un’ opera della cui immagine è corredato il libro. In questi ultimi decenni sono state riscoperte alcune pittrici, valorizzate con biografie, film, qualche mostra, ma siamo sempre in un ambito piuttosto ristretto. Qui Mazzucco ci dischiude un mondo di vite straordinarie e di opere meravigliose, sorprendenti e intuiamo che quella che ci mostra è solo la punta di un iceberg, tutto da scoprire nella sua vastità e profondità. Alcune di queste artiste si sono formate nelle botteghe dei padri pittori fino poi a superarli come Elisabetta Sirani, Artemisia Gentileschi, Plautilla Briccia “L’architettrice”*; accudendoli  come Katsushika Oi, la sorprendente figlia di uno dei più grandi pittori giapponesi, Hokusai; condividendo con il padre e il fratello l’antica tradizione dell’ultima bottega famigliare veneziana come la sorprendente  Emma Ciardi, interessata unicamente  ai valori pittorici, ma dotata di una forte determinazione imprenditoriale: “ Coe ciacole no se fa i quadri” era il suo motto.  Alcune di famiglia ricca avviate agli studi con la protezione del padre o della madre, altre povere divenute artiste grazie a borse di studio, all’ aiuto di parenti generosi, tutte dotate di coraggio e intraprendenza, pronte a vendersi tutto, ad andare incontro all’imprevisto pur di partire per Parigi o per l’Italia e perfezionare la propria formazione nei luoghi e negli ambienti artistici.

Non finiscono di sorprenderci le vite di queste donne tenaci la cui opera restava in ombra se diventavano compagne di artisti famosi come Gabriele Munter, compagna di Kandinskij o come Antonietta Rafhael, fra i pittori della “scuola di via Cavour” insieme al marito Mario Mafai e madre di tre straordinarie figlie: Miriam giornalista, Giulia costumista, Simona politica. Artiste resilienti, ignorate o dimenticate dopo brevi periodi di attenzione, non abbandonano la loro ricerca artistica e in alcuni casi tentano nuove strade, nuovi linguaggi come fa Louise Bourgeois plasmando materiali vari e creando installazioni  o intraprendono la strada della scultura come Antonietta Raphael, Giosetta Fioroni. Natal’ja Goncarova dopo aver raggiunto una maturità artistica come pittrice  e una certa affermazione scandalizza i benpensanti con il suo stile di vita e le sue opere. Ma non smette mai di dipingere anche se per vivere deve dedicarsi all’insegnamento e alla produzione di scenografie teatrali e balletti, che le procurano negli anni Trenta una fama intangibile. Sonia Terk, divenuta Delaunay quando sposa il pittore Robert, condivide con lui l’avventura artistica fino ad abbandonare l’arte figurativa per  quella astratta. Quando  dopo la rivoluzione Russa perde tutte le sue rendite e durante la Grande Guerra deve rifugiarsi in Spagna con Robert, dichiarato disertore non essendosi presentato alle  armi, si adatta a diventare decoratrice per l’aristocrazia spagnola, a firmare i costumi per i Balletti Russi, infine a diventare stilista per milionarie e dive del cinema e  viene dimenticata come pittrice.

Dei quindici temi che l’autrice tratta, dalla nascita alla vecchiaia, più di uno insiste sulla generazione e  sul rapporto madre – figlio/a. La prima tavola che propone, dopo L’esordio con Elisabetta Sirani, di cui abbiamo detto, é la Baby Giant (1947 circa) di Eleonora Carrington; una donna enorme, sproporzionata, il cui corpo ha la forma di un uovo e che stringe fra le minuscole mani un piccolo uovo “Pare la dea di una cosmogonia ignota, che avanza in un paesaggio giovane, il primo – o l’ultimo – giorno della creazione”. E’ Dio – Madre, Godess, Donna – Uovo, origine e creatrice di ogni cosa; in qualche modo pone l’enigma popolare se viene prima l’uovo o la gallina . Del resto in altre opere, anche letterarie, Carrington parla del corpo femminile, anche del proprio, come di “una forma ibrida in commistione e metamorfosi con altri esseri”. L’ultima tavola che chiude il libro sul tema della vecchiaia, pone ancora l’accento su una generazione. Si tratta della scultura di Giosetta Fioroni intitolata appunto Giosetta con Giosetta (“2002), un’autobiografia plastica. Su una roccia grezza Fioroni rappresenta una bambina all’uscita da scuola, che riproduce le fattezze di Autoritratto a nove anni da lei dipinto nel 1966 a partire da una fotografia. Accanto una donna anziana, una nonna che va a prendere la nipotina all’uscita dalla scuola, ha l’aspetto di Giosetta oggi, ma dietro gli occhiali gli occhi sembrano spenti, come se fosse cieca. Le due figure si tengono strette per mano. Mazzucco  propone dunque “Non si può dire chi stringa più forte – se la bambina allarmata dal futuro o l’anziana … Allora si può forse rovesciare la lettura. Giosetta piccola è la guida dell’altra … Questa è la maternità di Fioroni. Non separarsi dalla propria infanzia, coltivarla, nutrirla, plasmarla, in essa attingere ricordi, emozioni, visioni, permette di continuare ad essere e essere artista”. Infatti a novantun anni Giosetta Fioroni continua a creare. Questa possibilità  in più dell’artista di continuare a generare autogenerandosi mette in evidenza la peculiarità forte di queste donne che hanno raccontato in modo forte e struggente anche la matenità reale e la loro relazione col figlio/a. Indimenticabile Le Berceau (La culla, 1872) in cui  Berthe Morisot coglie l’intimo ed esclusivo sguardo che intercorre tra la madre, sua sorella Edma, e la figlia neonata.

Simona in fasce  (1928) di Antonietta Raphael, tavola in cui la figlia di sei mesi appare come “un minuscolo idolo di qualunque religione … la pittrice (sua madre) la osserva come un miracolo e un dono, ma  anche un’ opera d’arte”. Anche in questo caso si tratta di una doppia nascita, suggerisce Mazzucco, della figlia e della stessa Raphael come artista. Un’identificazione anche nel perturbante quadro di Marlene Dumas The Painter (La pittrice 1994), ritratto della figlia dall’espressione imbronciata e con le mani sporche di colore. Chi è la pittrice, la bambina o l’autrice? Mazzucco ci suggerisce che siamo di fronte a un autoritratto traslato. “La bambina pallida … è la figlia e anche se stessa. Innocente e colpevole di un misfatto – vivere? dipingere? – che non sarà spiegato. Un’opera non ha un’intenzione, ma un effetto”. Il trionfo della maternità nell’opera di Jenny Saville e nell’autoritratto di Paula Modersohn Becker  Autoritratto per il sesto  anniversario di matrimonio (1906). Quest’ultimo è uno dei primi quadri in cui compare il ventre nudo di una donna incinta. La cosa straordinaria è che Paula Becker lo dipinge sei mesi prima  della gravidanza “Il suo desiderio di maternità ( diventare madre la attraeva quanto la terrorizzava) e la sua prorompente forza creatrice fanno sbocciare sulla tela quella figura che è insieme proiezione onirica e profezia. Creare e procreare, dice sorridendo l’Autoritratto, sono la stessa cosa”. Il dolore della perdita del figlio  nel quadro di Frida Kahlo  Ospedale Henry Ford (Il letto volante 1932) in cui l’artista venticinquenne dipinge la perdita del bambino di cui da tre mesi era incinta. Anche in questo caso Mazzucco ci spiega che “Questo quadro grezzo, crudo e viscerale però non è solo un congedo dalla possibilità della maternità … perché Kahlo trasforma la privazione, l’amputazione, la morte di una parte di sé, in pittura. Un’artista è sempre madre – anche solo di se stessa”.  E madre di se stessa continuerà a essere anche Kathe Kollwitz che per diciotto anni dovette elaborare il lutto del figlio diciassettenne morto nella Grande Guerra prima di riuscire a creare nel 1932 il monumento funebre I genitori addolorati . Aveva anche prodotto però nel 1922 – 23 sette xilografie del ciclo Guerra in cui spicca il sesto foglio Le madri dove il disperato abbraccio delle madri a proteggere i figli suona come un monito all’umanità, cupo quanto vano, poiché dovette ancora scolpire piccole statue sul tema della maternità per elaborare il lutto dell’amato nipote, perso nella Seconda guerra mondiale. Chiudiamo il libro e dalla copertina ci corre  incontro un’immagine dell’artista trionfante e bella, anch’essa un doppio, nonostante il titolo The  Only Blonde in the World (L’unica bionda al mondo, 1963): Marylin Monroe o Pauline Boty, l’affascinante autrice del quadro?

*Melania G. Mazzucco, L’architettrice, Einaudi 2019, romanzo storico sulla figura di Plautilla Briccia


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