Il Nobel all’iraniana Narges Mohammadi, un riconoscimento alle donne iraniane

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Il 10 dicembre è la giornata Mondiale dei Diritti Umani. In questa giornata si festeggia l’anniversario dell’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948. In questa giornata si conferisce ad Oslo anche il Nobel per la Pace. Quest’anno questo alto riconoscimento andrà alla giornalista iraniana e combattente per i diritti umani Narges Mohammadi, attualmente in carcere per scontare la pena di 16 anni di carcere inflitta nel 2016, a cui vanno aggiunti altri due anni e mezzo e 80 frustate per le attività svolte in prigione, durante un processo farsa nel 2021.

Narges Mohammadi è la seconda donna iraniana che riceve il Nobel per la Pace. Esattamente 20 anni prima, nel 2003, aveva ricevuto questo prestigioso premio Shirin Ebadi, l’avvocatessa e fondatrice del Centro dei Difensori dei Diritti Umani, di cui Narges Mohammadi è vicepresidente. Ad Oslo, Narges Mohammadi non ci sarà. A rappresentarla e ricevere il premio ci saranno i suoi gemelli, Ali e Kiana di 17 anni che da tempo vivono con il padre Taghi Rahmani a Parigi.

Berit Reiss Andersen, presidente del Comitato per il Nobel per la Pace ha iniziato la conferenza per l’annuncio del nome del vincitore di quest’anno pronunciando in lingua farsi lo slogan principale della rivolta popolare del 2022 in Iran: Zan, Zendeghi, Azadi (Donna, Vita, Libertà). Motivando la scelta di Narges Mohammadi con queste parole: “Per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti”.

Narges Mohammadi ha ricevuto il suo primo riconoscimento internazionale per le attività svolte a difesa dei diritti umani a Bolzano, nel 2009, ricevendo il premio della Fondazione Alexander Langer. Da allora ha ricevuto per le sue attività a favore dei diritti umani, diritti delle donne e difesa della libertà d’espressione altri sei premi.

Nel suo ultimo libro intitolato “La tortura bianca”, pubblicato per la prima volta in farsi nel 2020 dalla casa editrice Baran di Stoccolma e poi tradotto in altre lingue, Narges Mohammadi riporta le testimonianze di 13 donne nelle carceri della Repubblica Islamica. Testimonianze sulle torture fisiche e aggressioni sessuali subite dalle donne in carcere. Racconti confermati anche dall’inchiesta pubblicata da Amnesty International in un rapporto di 120 pagine pubblicato il 6 dicembre di quest’anno.

In questo rapporto intitolato “Mi hanno violentato”, Amnesty riporta le testimonianze di 26 uomini, 12 donne e 7 bambini tutti violentati mentre erano in custodia delle forze dell’ordine e di agenti di sicurezza della Repubblica Islamica. Un rapporto straziante ha commentato Agnés Callamard, Segretaria Generale di questa organizzazione, la quale ha aggiunto “le testimonianze che abbiamo raccolto indicano un modello più ampio nell’uso della violenza sessuale come arma chiave nell’arsenale delle autorità iraniane per reprimere le proteste e reprimere il dissenso per restare al potere a tutti i costi”.

Nel messaggio di ringraziamento indirizzato al Comitato Norvegese per il Premio Nobel, che Narges Mohammadi ha fatto uscire in forma clandestina dal carcere, si legge: “Noi in Medio Oriente, in particolare quelli di noi che vivono in Iran e Afghanistan, non apprendiamo l’importanza della libertà, della democrazia e dei diritti umani dalle teorie pubblicate nei libri, ma attraverso la nostra esperienza personale di oppressione e discriminazione. Abbiamo compreso l’importanza di questi concetti e ci siamo ribellati contro i loro violatori e avversari, perché fin dall’infanzia, nella nostra vita quotidiana, abbiamo dovuto affrontare l’oppressione, la violenza aperta e sottile, le molestie e la discriminazione da parte dei governi autoritari.”

Nella lettera di Narges Mohammadi si legge ancora: “La ragione dell’imposizione dell’hijab obbligatorio da parte della Repubblica Islamica non è la sua preoccupazione per le regole religiose, i costumi e le tradizioni sociali o, come sostiene, la salvaguardia della reputazione delle donne. Invece, mira apertamente a opprimere e dominare le donne in questo modo come mezzo per dominare la società iraniana nel suo insieme. Ha legalizzato e sistematizzato questa tirannia e la repressione delle donne. Le donne iraniane non lo accetteranno più. L’hijab obbligatorio è uno strumento di dominio. Serve a prolungare il regno del “dispotismo religioso”. Per quarantacinque anni questo governo ha istituzionalizzato la povertà e la privazione nel nostro Paese. Questo regime si basa su menzogne, inganni e intimidazioni e, con le sue politiche destabilizzanti e guerrafondaie, ha seriamente minacciato la pace e la calma nella regione e nel mondo.

La lettera di Narges Mohammadi si conclude con parole di speranza: “Parlando dalla Sezione femminile del carcere di Evin, circondata da prigionieri politici e prigionieri di coscienza, tra cui donne detenute da molto tempo con una varietà di punti di vista politici e intellettuali, i bahai in prigione per le loro convinzioni religiose, attivisti ambientali, intellettuali, donne appassionate manifestanti della recente rivolta, giornalisti e studenti, invio i miei più sinceri saluti e gratitudine al Comitato norvegese per il Nobel, con un cuore pieno di amore, speranza e passione.


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