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L’Olanda chiama, Trump risponde 

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Come se non bastasse la vittoria dell’uomo con la motosega in Argentina, eccoci a dover fare i conti con l’affermazione di Geert Wilders in Olanda. Per semplificare, è come se in Italia avesse prevalso CasaPound: quelle, più o meno, sono le idee del soggetto in questione. A differenza di altri, noi rispettiamo sempre le decisioni della maggioranza. Se il popolo ha scelto Wilders, con lui bisognerà fare i conti. Diciamo con chiarezza, tuttavia, che continuando di questo passo il pianeta non avrà un domani. L’ondata populista che sta investendo il mondo, talvolta venata anche di xenofobia, liberismo sfrenato ed estremismi di varia natura, rischia infatti di mettere a repentaglio la convivenza civile su scala globale, favorendo il diffondersi di conflitti e barbarie d’ogni sorta.

E fin qui abbiamo parlato di Wilders e dell’estrema destra, che si dà di gomito da una sponda all’altra dell’Oceano, creando una connessione sentimentale, ma più che altro un incontro di convenienza, fra i vari alfieri di un movimento mondiale che per troppo tempo abbiamo colpevolmente sottovalutato. Veniamo ora ad analizzare gli altri. Ma davvero qualcuno pensava che l’egoista Rutte, capofila dei tirchi durante le trattative sul Recovery Plan, potesse godere ancora del benché minimo consenso? E che dire del socialismo europeo, ridotto ormai a una funzione ancillare, caratterizzato com’è da personalità di terz’ordine, prive di qualsivoglia idea e indistinguibili dalla destra sul tema cruciale della politica estera e, in particolare, sullo sviluppo dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente? Assistiamo inermi, e sinceramente increduli, al fallimento dell’Unione Europea, dove sembra che il solo Sánchez sia stato in grado di comprendere la complessità della fase storica che stiamo vivendo. Non a caso, ha fatto concessioni importanti alle minoranze interne, si è accordato con i catalani, ha capito il loro bisogno di autonomia e d’indipendenza, ha preso atto che non esiste la Spagna ma esistono le Spagne, con baschi e, per l’appunto, catalani forti della loro unicità, e ha saputo unire la sinistra intorno a un progetto di trasformazione e cambiamento. Per il resto, con buona pace di qualche attempato editorialista che scrive sempre lo stesso articolo da più di vent’anni, abbiamo a che fare con modelli decadenti, sinistre in crisi di pensiero e di identità, blairiani fuori tempo massimo che, anche se dovessero vincere, sarebbero inevitabilmente destinati al fallimento, moderati senza politica come Macron, socialdemocratici al canto del cigno come Scholz e amici della Meloni, un po’ furbastri e un po’ tanto spregiudicati come il sedicente socialista albanese Edi Rama. Sull’altra sponda dell’Atlantico, infine, abbiamo un Partito Democratico ancora convinto di vivere nell’era clintoniana, quando bastava esclamare “It’s the economy, stupid!” e porsi a destra dei repubblicani sulle questioni sociali e relative al welfare per attrarre consensi. Spiace dirlo, ma non hanno capito che la globalizzazione capitalista ha fallito, che il Washington Consensus ha devastato l’Occidente, e non solo, che il malessere sociale non è un tema da salotto radical chic ma un dramma che coinvolge innanzitutto le periferie e i molteplici luoghi della disperazione e del disagio e che la cultura del dialogo e dell’incontro non è una predicazione per anime belle ma l’unica speranza che abbiamo di scongiurare l’ascesa definitiva del trumpismo: dall’America al più piccolo dei paesi.

Aggiungiamo che la sinistra sta sbagliando tutto anche sul piano dei diritti civili, trasformandoli in una clava da brandire contro una destra pericolosa e, a tratti, inquietante, proprio come la destra agita l’ideologia del merito e dei doveri per opporsi a principî imprescindibili come le pari opportunità e i diritti. Siamo, dunque, sempre al solito punto: se non si tende a unire, la divisione sarà inevitabile. Se si giunge addirittura alla contrapposizione fra i sessi, sarà la fine. Se il tessuto civico si sfalda, prevarranno davvero i mostri. Non accorgersene e continuare a urlare senza costrutto è il miglior viatico perché queste profezie si autoavverino. E il 2024 potrebbe essere realmente l’anno della grande disgregazione. Ma a quel punto cosa resterà di noi?

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