Mi incammino lungo il vialone deserto che costeggia lo stabilimento Stellantis di Piedimonte San Germano una domenica di ottobre che sembra il settantesimo giorno di agosto. La strada è così ampia che potrebbe essere la sorella dell’A1, che corre qui vicino, a nemmeno un chilometro di distanza. Oggi c’è il mercatino dell’usato delle auto del gruppo, quindi Fiat, Alfa Romeo, Peugeot, Citroen. Un autosalone. L’evento mi offre la possibilità di guardare da dentro, evitando le trafile per le autorizzazioni ai giornalisti, la più grande fabbrica della Ciociaria, l’ultima riserva dell’industrializzazione di una terra che con l’industria ci fa a pugni e tuttavia è così piena di siti produttivi da essersi beccata un Sin (Sito di interesse nazionale) nella mappa dell’inquinamento. Ha un fiume, il Sacco, che spesso diventa bianco per via della schiuma che si forma con gli scarichi industriali abusivi. Ha una discarica che si allarga a ridosso del paese di San Tommaso d’Aquino: i cittadini lì non la vorrebbero ma alla Regione serve nell’ambito del piano rifiuti. Seguo una piccola processione di visitatori che si dirige nel piazzale dove sono esposte le auto. Poi, di fronte, la vedo, l’immagine simbolo di quella che è stata la “Fiat di Cassino”, il mitico marchio Alfa Romeo, orgoglio italiano, sogno industriale, un mix di tecnologia, velocità, moda, motori, sviluppo economico del sud profondo dell’Italia. E’ vuota oggi la fabbrica, a parte gli addetti alla sicurezza e i clienti del mercatino, si muovono solo piccole squadre di “trasfertisti”, come si chiamano i gruppi di operai della manutenzione che vengono qui, aggiustano, mettono a punto, fanno i test sulle linee e se ne vanno, di corsa in un’altra fabbrica, ad un ritmo sempre più veloce e sempre meno retribuito. Sono tutti del sud che sta più a sud di qui: Potenza, Catania, Napoli, Foggia, Caserta. Squadre di tecnici specializzatissimi, elettricisti, idraulici, specialisti di macchine industriali ma anche imbianchini, carrellisti. Sono l’ultima ruota del carro dell’industria europea quattro punto zero. E’ trascorso mezzo secolo da quando la Fiat è sbarcata nel cassinate e ci hanno lavorato tutti. In ogni famiglia della Ciociaria c’è stato o c’è un operaio del mondo Fiat-Stellantis. Volevo chiedere dati. Ma li trovo su internet, sulla pagina web della Cgil: sono rimasti più o meno in tremila tra operai e altro personale. Tutti temono ulteriori riduzioni, dopo una sequenza pressoché ininterrotta di cassa integrazione. In realtà più dei numeri mi interessa la fotografia che rimanda questo posto. Parto dai colori. Le tute blu, storico appellativo dei metalmeccanici, non esistono più. Sono bianche e rosse le divise degli operai. Le loro facce tradiscono il segno di un tempo difficile per gli ultimi lavoratori “manuali”, quelli che vivono fuori dalla rete. Qui tutto è reale, non social, non bellissimo ma nemmeno bruttissimo, è un posto del vivere medio, come medio, anzi basso è il loro stipendio. Quaggiù, proprio quaggiù, nella Ciociaria sperduta, si sfornano le auto che tutti ci invidiano, i “veicoli dei marchi premium e di lusso, quali Alfa Romeo e Maserati” e presto anche “veicoli basati sulla piattaforma BEV flessibile STLA Large”. Le autovetture di Cassino, anzi di Piedimonte San Germano, vengono ordinate dall’Arabia Saudita e Paesi simili. Essere qui quando arrivano gli operai al cambio dei turni, la mattina all’alba, il primo pomeriggio o la sera tardi, equivale a scandagliare un percorso preciso dell’economia contemporanea. Vedi i lavoratori poveri che realizzano prodotti per i ricchi.
E’ la terza volta che mi metto a gironzolare attorno allo stabilimento, come fossi di passaggio. L’ho fatto anche qualche settimana fa, ho aspettato che alle 13.30 arrivassero i 40 bus dedicati del gruppo Cotral che ogni giorno, anzi ad ogni turno, collegano minuscoli paesini della provincia di Frosinone e anche Latina allo stabilimento Stellantis. E’ così da 50 anni. E’ l’ultimo servizio sociale vero della Regione Lazio dopo quello sanitario. Gli autisti e gli operai si conoscono tutti, alcuni hanno “viaggiato” insieme su e giù per le curve di montagna per anni e poi sono andati in pensione quasi contemporaneamente e ora vanno a pescare insieme alla foce del fiume Garigliano. Ci sono destinazioni sul display dei pullman che nessuno o quasi ha mai sentito nominare: “Viticuso-Stab Fiat; Sant’Andrea del Garigliano-Fiat; Valvori-Fiat; Atina Inferiore-Fiat…” e si potrebbe continuare per altre 39 località.
Solo uno le conosce, tutte, a memoria: Stefano Mustafà. Ha un banco ambulante di piccole seghe elettriche, lampadine al led, radioline portatili, viti, cacciaviti e da 40 anni sta qui, ai bordi dello stradone che costeggia lo stabilimento Stellentis, già Fiat, già Alfa Romeo. Mustafà è un marocchino di Aquino, paese di cinquemila anime dei circa settanta, tutti uguali, tutti minuscoli, tutti col campanile, il barbiere e la stazione dei carabinieri, che ruotano attorno all’ultima fabbrica, vera, del centro sud d’Italia. Lo incontro in un giorno indeciso tra nuvole e sole, alle 13.30. Mi siedo sullo sgabello del suo furgone e insieme guardiamo una curiosa fila indiana di bus blu cobalto che attraversa la strada industriale Cosilam (acronimo del consorzio industriale del Lazio meridionale), sotto un cielo che si prepara ad una pioggia poco credibile. Stanno per lasciare lo stabilimento quasi 1500 operai del turno di mattina e quei bus sono lì per loro, ultimo servizio pubblico sociale per gli operai. Un’immagine nitida, attuale, eppure sembra uscita dal passato remoto degli anni Settanta.
Guardo le insegne delle “corriere” della società regionale Cotral spa: “San Lorenzo-Fca; Fiuggi – stab. Fca; Pescosolido-stab.Fca; Minturno – stab. Fca; Arce – stab. Fca”.
L’origine di queste corse non le conosce quasi nessuno perché chi vuoi che sappia dove sta Pescosolido, a parte me e Mustafà? Ma l’arrivo lo conoscono tutti: è l’ingresso dello stabilimento che ancora, e forse per sempre, continueranno a chiamare Fiat e basta, dove si fabbricano automobili di lusso, nello stesso posto che ha sfornato milioni di utilitarie “grigio metallizzato”, nel Comune di Piedimonte San Germano che è così piccolo da coincidere con la fabbrica.