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RAI: le sfide della nuova governance

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«Vi scrivo per comunicare le mie dimissioni. Dimissioni irrevocabili» scriveva Lucia Annunziata nel maggio scorso comunicando ai vertici la sua decisione di lasciare l’azienda «In particolare non condivido le modalità dell’intervento sulla Rai. Non ci sono condizioni per una collaborazione, non intendo avviarmi sulla strada di una permanente conflittualità interna sul lavoro». 

È la più onesta delle dichiarazioni che si sono sentite tra chi ha lasciato la Rai recentemente. Evitare una conflittualità interna. Che non è solo nei contenuti. Ma è anche sulla eventuale riduzione di costi legati alla produzione; sulle modalità operative della produzione stessa; per altri programmi anche per eventuali riduzioni dei “cachet” stabiliti per gli ospiti di rilievo in trasmissione e/o di “vantaggi” che si erano in passato ottenuti grazie ad ascolti di rilievo. Questi, tutti, sono elementi che, se esistenti, possono portare a lasciare la Rai, anche se con molti rimpianti. Come ha fatto per ultimo Corrado Augias e prima ancora Fabio Fazio, Bianca Berlinguer e Massimo Gramellini. Premesso che sono tutti professionisti di assoluto rilievo che hanno avuto successo per loro indubbi meriti professionali, ma anche per la possibilità che la Rai ha offerto loro in passato, sia in termini di crescita personale, grazie a mezzi e collaboratori interni straordinari e dirigenti illuminati (vedi Angelo Guglielmi, ma non solo) e di possibilità di audience grazie proprio al “veicolo” Rai, sempre in vantaggio di share medio rispetto ai concorrenti. Anche se non più ora, almeno pare, dopo la pubblicazione dello “studio Frasi” su base dati Auditel, secondo il quale c’è stato il sorpasso degli ascolti di Mediaset nei confronti di Rai nell’arco dell’intera giornata (nelle prime settimane della stagione autunnale, fino al 28 ottobre scorso).

Ammesso che si confermino tali dati lungo tutta la stagione televisiva non c’è nulla di inaspettato. E c’è chi direbbe anche di voluto. I nuovi programmi e i nuovi conduttori del nuovo palinsesto Rai non hanno fatto altro che confermare quello che ci si attendeva quando furono presentati: uno share in declino. Già Rai2 in passato era stata portata a livelli di ascolto imbarazzanti (la Rete dove Renzo Arbore con Quelli della notte arrivò a superare il 50% di share…ma erano altri tempi). Ora semmai preoccupano più il palinsesto e i nuovi conduttori e programmi su Rai3. Dove c’è stato il maggiore “rimescolamento delle carte”. Report al posto – e contro – Che tempo che fa. A precederlo il nuovo programma di Serena Bortone, che ha preso il posto della anteprima di Che tempo che fa. Sempre Serena Bortone che ha rimpiazzato Massimo Gramellini al sabato sera. Monica Maggioni che ha ereditato In Mezz’ora. Roberto Inciocchi (assunto da Sky TG24) ad Agorà al posto di Monica Giandotti (che è passata su Rai2) e Avanti popolo con la conduzione di Nunzia De Girolamo e così via. Gli ascolti delle new entries, non tutti allo stesso modo, sono sotto gli occhi di tutti. E anche il confronto singolo con la stagione precedente. Ma c’è tempo per recuperare.

Sulla Terza rete ciò che appare è una strategia di “svuotamento” del bacino di ascolto consueto, senza avere la capacità – o forse la volontà – di riempirlo con altro bacino di utenza. In pratica appare uno “smantellamento” della Rete più legata a prodotti in linea con il Servizio pubblico in grado – in generale e fino alla stagione scorsa – di coniugare, con efficacia, qualità e share. Nella migliore delle ipotesi, nel tentativo, maldestro finora, di diversificare il bacino di utenza anche a parità di share. Poi aggiungiamo la perdita di risorse certe per la Rai: vuoi per il previsto calo del canone da 90 a 70 euro e vuoi per la prevista perdita del canone in bolletta (risorsa certa) che sarà operativa dopo la fine del prossimo anno. Sarà il governo a decidere, come e se, fornire le risorse che verranno a mancare alla Rai. La cui governance ne sarà così più dipendente, anche economicamente. Dipendente lo era già dal 2000, da quando il 99,56% del pacchetto azionario (il restante 0,44% è della Siae) passò dall’IRI (poiché dismesso) al Ministero dell’Economia (oggi al Mef). Non proprio in linea con la legge di riforma della Rai n.103 del 1975 che, al contrario, stabiliva il passaggio del controllo della RAI dal Governo al Parlamento. Per questo si parlava allora – ma ancora – di affidare la governance a una fondazione che “garantisse l’autonomia del servizio pubblico dal potere politico ed economico”… Quantomeno non dal Governo. La fondazione non è mai stata creata.

Ed in questo triste contesto emerge con sempre più forza l’azione di chi, come Sigfrido Ranucci, ma non solo, insieme ad altri in Rai rimane, e rimane con “la schiena dritta”. Come ha detto il 7 novembre scorso davanti alla Commissione parlamentare di vigilanza: «ho la fedina penale ancora pulita nonostante abbia affrontato 176 tra querele e richieste di risarcimento danni, faccio gli scongiuri ma fino a oggi è andata bene. Se poi qualcuno vuole sollevare il tema dei costi delle spese legali questo è il luogo opportuno per sollevarlo perché la politica dovrebbe fare qualcosa per evitare le liti temerarie. C’è un disegno di legge che giace nei cassetti del parlamento ormai da anni che eviterebbe un numero di querele così alto…. Report è l’unica trasmissione di giornalismo italiana che i consorzi di giornalismo internazionale hanno scelto come partner…È il programma più premiato della Rai». 

E il prossimo anno la Rai celebrerà i 100 anni della nascita della Radio e i 70 della Tv. Evviva.


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