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La persecuzione politica turca contro un giornalista tedesco. Avviene in Italia nel silenzio della politica            

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La tecnica   adottata dai paesi autoritari è consolidata: accusare un giornalista che fa conoscere verità scomode di complicità con organizzazioni politiche accusate di terrorismo. L’ultima persecuzione avviene in territorio italiano, su mandato della Turrchia di Erdogan. Vittima un giornalista tedesco di origine curda, Devrim Akcadag.

La vicenda comincia il 1 agosto, ma soltanto adesso è stata resa nota grazie ad un’inchiesta dell’Espresso. Akcadag, che lavora anche come traduttore per l’Università di Berlino e che, come giornalista, occupandosi prevalentemente di Medio Oriente, ha  realizzato servizi televisivi anche per la Bbc, l’agenzia Reuters, Al Jazeera, trascorre con la figlia undicenne una vacanza in un hotel sul mare nella provincia di Sassari, il Red Sun Village. Mentre sta per recarsi al mare con la sua bambina, viene bloccato dal direttore dell’albergo con una scusa e messo a disposizione di tre funzionari della Digos. I poliziotti gli dicono che sulla base di una segnalazione giunta dalla Turchia devono accompagnarlo nella sede di Cagliari dell’antiterrorismo. Non consentono né a lui, né alla bambina di prendere qualcosa per vestirsi meglio e partono.

Nel capoluogo, dopo ore di attesa, viene separato dalla figlia, che viene accompagnata in un centro d’accoglienza per minori e lui riportato a Sassari dove viene rinchiuso nella sezione di massima sicurezza del carcere di Bancali. Il provvedimento viene motivato con l’accoglimento di una richiesta della Turchia che lo accusa di complicità con Il Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Accuse per ben tre volte archiviate dalla magistratura di Berlino e che invece la polizia italiana ha accettato senza battere ciglio, senza porre un problema di legittimità su una questione tanto grave in cui la Turchia vuole coinvolgere un cittadino europeo.

Il giorno dopo la carcerazione, a Devrim vengono concessi gli arresti domiciliari da vivere nella sede dell’Associazione Sarda contro l’Emarginazione che però ha sede a Selargius, di nuovo nel cagliaritano, a 210 chilometri da Sassari.

Nel frattempo l’avvocato Nicola Canestrini, incaricato della difesa del giornalista, si rivolge al Ministero della Giustizia ma non ottiene alcuna risposta. Risposta che viene solo dai magistrati. Ieri, 51 giorni dopo l’inizio di questa allucinante vicenda, ignorata dal mondo politico e per fortuna fatta emergere grazie all’insostituibile presenza di un giornalismo libero, la corte d’appello di Sassari ha finalmente revocato gli arresti domiciliari valutando positivamente sia il comportamento tenuto da Devrim Akcad, sia tutta la documentazione messa a disposizione dal suo difensore.

Rimane in piedi il rischio dell’estradizione contro cui solo il governo italiano potrà schierarsi. Ma lo farà, visto che è stato accettato senza colpo ferire, ha fatto notare l’avvocato Canestrini, la Red notice, l’ordinanza di arresto emessa dall’Interpol su richiesta di uno stato autoritario, senza che ci sia stato alcun pronunciamento della magistratura. Possibile che l’Italia non si opponga per bloccare ogni forma di persecuzione politica? E la Turchia è uno di questi Paesi, viste anche le ripetute sentenze della Corte di Cassazione sulla sistematica violazione dei diritti umani da parte del governo turco.

Ora, in attesa che il Ministro, o il Governo si pronuncino, perché della questione non comincia ad occuparsi la politica? Ormai non può più far finta di non sapere.


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