Se ne va Giorgio Napolitano, senz’altro un protagonista della nostra vita politica, in Parlamento dal 1953, nominato senatore a vita da Ciampi nel 2005 e presidente della Repubblica dal 2006 al 2015.
Napoletano di nascita, migliorista per convinzione, vicino ad Amendola nella destra del PCI che intendeva accettare il sistema capitalista in chiave socialdemocratica anziché ribaltarlo, come sosteneva la maggioranza del partito e, più che mai, la corrente ingraiana, è indispensabile sospendere il giudizio sul suo conto e affidarlo alla storia.
Alcuni spunti di riflessione, tuttavia, meritano di essere approfonditi. Napolitano è stato, infatti, il ministro dell’Interno che ha inaugurato, a sinistra, la linea della fermezza, con una gestione complessiva dell’ordine pubblico all’insegna del rigore.
È da Presidente della Repubblica, però, che ha esercitato con raro vigore le proprie funzioni, arrivando talvolta ad assumere una postura che qualcuno ha ironicamente definito “monarchica”.
Sarei ipocrita se affermassi di essere sempre stato d’accordo con lui, anche perché è vero il contrario. Non mi convinse la sua rielezione, che trovai una forzatura, purtroppo ripetutasi nove anni dopo con il bis di Mattarella. E non mi piacque il suo discorso alle Camere, caratterizzato da un tono che non apprezzai e da una pressante richiesta di riformare la Costituzione che ha portato a un progetto fortunatamente respinto da larga parte della cittadinanza in occasione del referendum del 4 dicembre 2016. Non ho condiviso nemmeno la sua scelta di avallare le ambizioni renziane, ritenendo quella stagione una delle più controverse della nostra storia recente. Infine, penso che andasse tutelato maggiormente il Parlamento, che proprio in quegli anni ha subito una serie di forzature che hanno, di fatto, esautorato l’istituzione cardine della nostra democrazia. Non che sia stata colpa sua, ma una vigilanza più attenta avrebbe forse evitato certe storture che hanno condotto alla deriva attuale.
Tornando indietro nel tempo, non c’è dubbio che anche la sua aspra presa di posizione nei confronti di Berlinguer, quando il segretario del PCI, in un’intervista rilasciata a Eugenio Scalfari, sollevò il tema della “questione morale”, dia la misura di una personalità in contrasto con la purezza ideologica che caratterizzava l’essenza del comunismo italiano, la cui scomparsa, non a caso, ha coinciso con la scelta esiziale della sinistra di abbracciare in maniera acritica il liberismo degli anni Novanta.
Per Napolitano parlano la sua biografia, le sue prese di posizione, i suoi discorsi di fine anno e i suoi gesti. Novantotto anni sono tanti, e pensiamo che solo il tempo consentirà di analizzarne la figura con la necessaria lucidità. Come detto, sarà la storia a giudicarlo nella sua complessità. Nel mio piccolo, dovendo scriverne nell’immediato, mi limito a dire che è stato sicuramente un punto di riferimento per molti ma io ho preferito ispirarmi ad altri modelli. A cominciare proprio Berlinguer, che rimase fedele fino alla fine agli “ideali della gioventù”.
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