Ricordo quando venne mio ospite per un’intervista: eravamo ancora in pieno Covid ma il partigiano Giuliano Montaldo, scomparso oggi all’età di novantatre anni, non si era certo arreso. Ricordo che mi disse, alla fine, che il suo sogno era di tornare presto al cinema a vedere tanti bei film. Del resto, questa è stata la sua vita e la sua ragione di esistere. Genovese di nascita e romano d’adozione, dotato di passione e impegno civico come pochi altri cineasti, ricordo anche che mi raccontò la genesi della colonna sonora che ha reso ancora più grande “Sacco e Vanzetti”, il suo capolavoro dedicato ai due anarchici italiani che finirono sulla sedia elettrica, a Dedham (Massachussets), il 23 agosto 1927 per un crimine che non avevano commesso. Mi raccontò del suo vagare per New York alla ricerca di Joan Baez e dell’aiuto decisivo che gli diede Furio Colombo, invitandolo a casa sua, dove quella sera era ospite proprio la cantante simbolo della generazione contestatrice americana e delle manifestazioni del reverendo King. Storie di un altro mondo, di un altro tempo, di una passione civile senza limiti. Montaldo, tuttavia, era questo, oltre a essere stato uno dei fondatori e dei garanti della nostra associazione. Era un uomo straordinariamente curioso, sempre al servizio del bene comune, capace di battersi, ancora a tarda età, dalla parte della Costituzione e dei diritti, contro ogni sopruso e ogni forma di crudeltà e di ingiustizia.
Mi torna in mente, ad esempio, la mattina in cui decidemmo di manifestare sotto l’ambasciata egiziana per chiedere verità e giustizia per Giulio Regeni, in occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa. Ebbene, non solo ci concesse di utilizzare “Here’s to you”, suonata in maniera impeccabile da un gruppo di musicisti, ma volle essere presente personalmente. Scese dalla macchina con qualche fatica e assistette all’esecuzione della colonna sonora con l’emozione di un bambino. In prima fila, come sempre, senza mai risparmiarsi.
Giuliano ha rappresentato il cinema migliore, quello che ha costruito l’immaginario collettivo di una generazione, contribuendo a rendere più giusta una società che oggi è, invece, straziata dalle disuguaglianze e da una malvagità dilagante.
Dei tanti gioielli che ci ha lasciato in eredità, oltre a “Sacco e Vanzetti”, mi piace ricordare “Giordano Bruno” e “L’Agnese va a morire”, tratto dal romanzo di Renata Viganò. Perché la Resistenza è stata la sua bussola, il momento in cui, per sua stessa ammissione, si innamorò della parola “Patria” e prese a declinarla nella sua accezione più nobile, l’opposto del significato che le viene attribuito strumentalmente adesso da alcuni discendenti di coloro che hanno contribuito a disonorarla e a gettarla nel fango.
Di Montaldo conservo il candore, quell’entusiasmo fanciullesco con il quale affrontava ogni sfida. Era un sognatore, un utopista concreto, un costruttore di scenari, un protagonista della vita pubblica e un cineasta non solo impegnato ma desideroso di partecipare attivamente alla storia in atto e di raccontarla una volta accaduta.
Con lui, se ne va uno degli ultimi brandelli di meraviglia che ci erano rimasti. Ci dice addio molto più di un regista: un narratore, una personalità che aveva ben chiaro il ruolo dell’arte e che, per questo, non ha mai accantonato il suo spirito critico.
L’ultimo ricordo che conservo è da spettatore, quando vidi “Tutto quello che vuoi” di Francesco Bruni, in cui recitava, da par suo, il ruolo di Giorgio, un anziano che aiuta un giovane e i suoi amici bulli a ritrovarsi, fino a osservare il mondo con occhi diversi. A un tratto, intona “Perché se libero un uomo muore”, l’ennesimo omaggio alla lotta partigiana: il suo faro, la sua patria morale, il filo conduttore delle sue opere e la ragione per cui è stato con noi fino all’ultimo.
La tua battaglia si è conclusa, ma la Resistenza continua. Addio Giuliano!
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21