Andrej guida il furgone veloce e sicuro. Il Renault Trafic rosso viaggia a più di 120 all’ora sulle strade che escono da Charkiv verso la zona nord. Più si procede verso il confine russo più lo scenario si fa inquietante. Strade dissestate e disastrate, pompe del carburante distrutte, cartelli pubblicitari bruciati, qualche carcassa di automobile abbandonata. La rete cellulare crolla. Il fatto che siamo entrati in una zona critica lo si capisce poi dal numero dei check point, sempre più frequenti, ogni tre o quattro chilometri. Andrej rallenta e si ferma, dice qualcosa ai militari, fa cenno che siamo italiani e che diamo una mano alla missione. Io metto la mano al taschino solo per verificare se ho con me il passaporto. Lo stesso gesto che – prima di questa esperienza – avrò fatto migliaia di volte come riflesso incondizionato, per controllare se ho il cellulare. In Ucraina oggi il passaporto è più importante del telefonino. Il militare guarda dentro l’abitacolo, capisce che siamo italiani, ci sorride. “Good luck!”. Possiamo passare. Andrej guida sicuro, sembra conoscerle a memoria le strade. Il tachimetro segna più di 450mila chilometri, c’è qualche spia accesa, ma poco importa. Lui corre come un matto ed evita le buche con precisione chirurgica. Ancora qualche chilometro ed ecco il primo villaggio, Rus’ka Lozova.
Andrej è uno dei 450 volontari che a Charchiv collabora con «Peaceful Heaven of Kharkiv». Un’associazione umanitaria locale la cui missione è aiutare le persone colpite dall’aggressione russa, fornire loro il minimo necessario per la sopravvivenza: uno spazio sicuro, vestiti e cibo caldo. Il grosso lavoro ora è a nord di Charchiv, nelle aree liberate dall’occupazione ma martoriate da pesanti bombardamenti. Ci sono molti anziani che vivono in quei villaggi e che non vogliono abbandonare la loro casa anche se non hanno più forniture di acqua (contaminata) e energia elettrica.
«Peaceful Heaven of Kharkiv» è ben organizzata. Nei laboratori ogni giorno vengono preparati e confezionati centinaia di pasti caldi, pane e poi, a seconda delle singole necessità vengono predisposti aiuti (coperte, materassi, pannoloni, stampelle e sedie a ruote per i più anziani) raccolti da chi può donare. Da lì ogni mattina partono decine di camioncini. Andrej carica il furgone e seguendo sempre lo stesso tragitto inizia il suo “giro”. Dura circa tre ore. Il villaggio più distante dalla città è a soli due chilometri dal confine. Ad un certo punto si ferma, ci indica un punto all’orizzonte e ci fa capire che laggiù, dove vediamo una distesa di alberi, c’è la Russia.
Nei villaggi la gente lo aspetta in un luogo concordato. Una piazzetta, la vecchia fermata dell’autobus, la chiesetta. Ad ogni sosta troviamo una decina di persone ad attendere e qualche cane. Sono molto ospitali, ringraziano sempre e qualcuno ricambia con un piccolo dolcetto preparato in casa (dolci buonissimi!). Andrej si ferma un po’ a parlare, ci presenta. Italiani. Capisco che relazionare fa parte della missione, della cura. “Italiani… Toto Cutugno e Ricchi e Poveri!” mi dice un anziano che nel sorridere sfoggia un paio di denti dorati piantati malissimo. È proprio vero che la musica unisce. Io gli rispondo prontamente “Albano e Romina!”. Ci siamo capiti al volo e ridendo ci abbracciamo.