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Michela Murgia, scrittrice inquieta che ci aiutava a non essere scontati né supponenti

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La morte di Michela Murgia ha acceso un confronto nobile e volutamente cattivo nel mondo cattolico. Impossibile parlare del primo omettendo il secondo. Ma se la rabbia porterebbe a voler evidenziare la cattiveria dei detrattori della Murgia anche nelle ore della sua scomparsa, è giusto fare il contrario, e sottolineare l’importanza per tutta la Chiesa cattolica e la nostra società di chi ha riconosciuto alla sua inquietudine visione, stimoli, profondità. Tra chi ha saputo apprezzarla mi piace partire dal senatore Pillon, portabandiera di una posizione opposta a quella di Michela Murgia, ma che ha saputo scrivere con profondo senso di cosa sia il pluralismo e non solo il rispetto dell’altro “avrei voluto continuare a confrontarmi con te” ancora per tanto tempo. Perfetto. Tra chi invece è andato più a fondo del senso dell’azione di Michela Murgia per il mondo cattolico è emerso tra i primi il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, che all’Ansa ha subito detto: Michela Murgia è stata “una donna di grande coraggio, una scrittrice di valore che ha saputo sempre presentare le proprie idee. Si è sempre dichiarata una donna di fede e ha affermato di non volersi scusare di essere credente, rifiutando l’idea che questo potesse obbligarla a dimostrare la credibilità della sua capacità intellettuale”. Si era saputo da non molto della sua scomparsa e padre Spadaro già sottolineava come la scrittrice abbia voluto “esplorare territori difficilmente esplorati” anche quando parlava di Dio e di “come vivere la fede nel mondo di oggi. Questo lo ha fatto anche nel tempo della malattia con grande coraggio”. Per Spadaro quindi “si può essere d’accordo o meno con le sue affermazioni ma bisogna riconoscerle il coraggio. Ha aiutato a pensare e aiuterà ancora a farlo”.
Il testo dell’Ansa poi riferisce le sue affermazioni che la evidenziano un aspetto decisivo: essendo “una figura legata al mondo dell’espressione e dell’arte, il suo pensiero inquieto è inquadrabile in schemi definiti, va accolto così come è e certamente ha espresso un desiderio di inclusione molto forte”. Padre Antonio Spadaro ricorda l’incontro del 23 giugno scorso tra Papa Francesco e duecento artisti nella Cappella Sistina. “Il Papa ha voluto salutarli uno per uno, io ero lì e ho notato la sua commozione e il suo sorriso quando è tornata al suo posto dopo aver parlato con Papa Francesco. L’impressione che ho avuto è che avesse fatto qualcosa che voleva veramente fare, in un momento in cui già stava vivendo una grande sofferenza”.

Nelle ore successive un articolo dell’Osservatore Romano le ha reso omaggio sempre seguendo il parametro non del giusto o sbagliato, ma del necessario per procedere, capire, includere. Un articolo firmato dalla sua amica teologa Marinella Perroni, che comincia così: “ L’ultimo suo post su Instagram è stata una piccola ode alle polpette. Ho scaricato Instagram negli ultimi mesi solo per seguire lei, perché mi aveva detto che era quello il modo che aveva scelto per restare in contatto con tutti coloro che le volevano bene, le erano cari, la seguivano. E io mi sono sempre sentita soltanto una dei tanti, innumerevoli, suoi amici. Per me, però, averla conosciuta è stata anche una sorta di “grazia di stato”. Sì, dato che la passione per la riflessione teologica è sempre stato uno dei fili portanti delle nostre, purtroppo rare, ma lunghissime conversazioni. Perché per Michela fede e teologia non potevano che convergere, l’una a sostegno e garanzia dell’altra, ma anche l’una in grado di far deflagrare l’altra”.

Siamo così arrivati ai funerali, occasione per il presidente della Cei per esprimersi in termini molto significativi, probabilmente ancor più se si pensa a quelli che avrebbero a nostro avviso scelto alcuni suoi predecessori non lontanissimi nel tempo: “Desidero unirmi a voi in questa Liturgia di saluto, quando sperimentiamo dolorosamente il limite della vita ma anche dove siamo aiutati a guardare oltre. Affidiamo a Dio Michela. Il libro della sua vita non è finito e le sue pagine continuano a essere scritte con lettere di amore in quella lingua universale dello Spirito che rivela la grandezza di ogni persona e l’eterno che è nascosto in tutti noi. Ed è un libro che Michela ha scritto con passione e esigente ricerca di assoluto, vissuta per davvero non per compiacimento di sé o perché aveva tempo da perdere. Non lo aveva e non lo ha avuto tempo da perdere. “Ti ho pensato tanto in questi giorni delicati, pregando per la tua missione di pace e ringraziando che in questo tempo difficile cercate strade possibili per salvare vite. Prego per te e per chi anche stanotte avrà paura in un rifugio, con i suoi bambini. Fai il meglio che sai”. E come risposta alla mia domanda sulla sua condizione aggiunse: “La qualità di vita è alta, non ho dolori e sono amata. Il resto è il lavoro del sorcio: rosicchiare ogni giorno un giorno in più”. Mi aveva colpito che si preoccupava degli altri in un momento così difficile per lei. Ma questo è il segreto dell’amore, che poi è il segreto di Dio. E Dio è libertà proprio perché ama e vuole essere amato non da servi, ma da amici, perché l’amore vero unisce, genera legami strettissimi possibili solo se è libero, gratuito. Anche quando non eravamo d’accordo Michela con la sua ricerca appassionata ci aiutava a trovare i veri motivi e a non essere scontati né supponenti. Oggi mi e ci sembra impossibile che tanta forza di vita, più forte di quella malattia che era sua (hai ragione, Michela, la fragilità è nostra, sempre dentro di noi, non è un alieno che ci ruba il benessere) sia finita. Marta e Maria avevano accolto e amato quel maestro che entrava a fare parte della loro casa e la rendeva una circolarità di amore che include tutti e tutti valorizza. Gesù le visita non come ospite ma come familiare, fratello d’anima che ci fa credere ai legami d’anima, perché siamo generati non dal sangue ma dallo Spirito. E per questo la Chiesa è famiglia di Dio, con i legami di amore che Lui per primo viene a creare, pensandosi in relazione con noi e chiedendoci di viverli tra di noi e con il prossimo, cioè l’altro. Chiunque. “Se tu fossi stato qui non sarebbe morto”, dicono a Gesù Marta e Maria. Gesù piange con loro e con noi di fronte alla morte. Michela alla fine, che è il suo inizio, “capirà” pienamente quello che cercava con tutta se stessa e troverà tutte le risposte. Certamente discuterà su qualcosa ma nell’amore pieno, senza riserve, senza paura. Capirà quello che Gesù ci insegna a vivere sulla terra, cioè ad amarci senza ideologia ma nel comandamento del suo amore, cominciando dai suoi fratelli più piccoli, i poveri, le vittime, i soli. Capirà che è proprio vero che “sarà una comunione continua, senza intervalli” e vivrà il passaggio dal “non ancora” al “già”. In pace. Michela, continua a pregare per noi”.

Mi sembra si possa dire che in questi saluti riguardosi la difficile sfida di Michela Murgia abbia trovato la giusta retribuzione, il modo per dire “ne è valsa la pena”. Chiesa in uscita, Chiesa ospedale da campo, vuol dire anche questo: non scegliersi gli interlocutori, ma saperli apprezzare, capire, stare con loro, aperti alla loro accettazione, non certo beatificazione. Il pluralismo di Dio, se uno dovesse credere che tale sia, non escluderà ma riconoscerà ciò che i dotti e i dogmatici interpreti della sua piena unicità escludono. E’ un po’ questo infatti il filo rosso che ha unito i critici, i bigotti sbigottiti, che riassumo in queste parole che ho trovato su internet: “era schierata per tutto ciò che è contro il Catechismo della Chiesa cattolica… Mi chiedo allora perché abbia disposto che il suo funerale fosse in una chiesa e secondo un credo che contestava”. Se non ci fosse anche questo sarebbe difficile capire l’importanza di quanto sin qui riferito al riguardo di questo addio a una scrittrice inquieta, che è di questo a mio avviso che va ringraziata.


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