Il pay gap gender nella libera professione (a partire dalle giornaliste)

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“Adepp”, un’altra sigla “misteriosa” nell’universo degli acronimi, ma questa è il tetto comune degli Istituti di previdenza professionali – dai medici ai commercialisti, dai giornalisti a chi lavora nell’agricoltura – , l’unico luogo oggi in cui misurare la “febbre” del pay gap gender tra le libere professioni. Che assomiglia fin troppo a quello generale. E se ne è discusso approfonditamente all’ottimo “Focus donne e professione” (12 luglio). Dove Marina Macelloni (presidente Inpgi) e Tiziana Stallone (biologi e vice presidente Adepp) hanno presentato una ricerca da cui risulta che la forbice negli stipendi professionali tra donne e uomini si apre fin dall’inizio della carriera, e poi aumenta; che al Nord ci sono più aiuti e servizi che al Sud e che – quindi – le professioniste sono più disponibili dei colleghi a trasferirsi; che le donne “non riescono a lavorare più di 8 ore al giorno” (al contrario dei colleghi) perché hanno anche da sostenere il lavoro di cura; che nelle donne c’è una preoccupante percentuale di abbandono della libera professione in età giovanile, perché tutto è troppo faticoso. Le donne non si sentono discriminate, ma in realtà molto spesso lavorano da simil-dipendenti collaborando con altri studi (maschili), impossibilitate all’autonomia. La sintesi estrema è della rettrice della Sapienza, Antonella Polimeni: “il lavoro femminile è PIL”. O si riparte di qui, o non si va da nessuna parte. All’incontro hanno partecipato il presidente Adepp Alberto Oliveti, la citata Polimeni, Mirja Cartia D’Asero (amministratrice delegata del Sole24 ore: praticamente una mosca bianca nel panorama nazionale), e Linda Laura Sabbadini.

(nelle slide il commento ai dati. Nei commenti il video di Linda Laura Sabbadini)


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