Lavoro e informazione, in una democrazia compiuta, procedono di pari passo. Anche il giornalismo, del resto, è un mestiere e
la sua crisi comporta, progressivamente, il deperimento di tutte
le altre sfere della società, a cominciare dalla politica. L’uno-due berlusconiano, fra l’estate del 2001, con i tonfa vibrati a Genova
sulle teste dei manifestanti, e la primavera del 2002, con l’accusa infamante rivolta a Biagi, Santoro e Luttazzi di aver fatto un uso “criminoso” delle proprie trasmissioni, ha prodotto una mutazione che potremmo definire “antropologica” dell’Italia. Bisogna essere massimamente onesti e sinceri: c’è un prima e c’è un dopo. Il 20 luglio 2001 costituisce uno spartiacque: c’era l’Italia prima di piazza Alimonda e c’è stata l’Italia dopo. Non è un caso
che nella primavera di quell’anno assistemmo agli ultimi fuochi di una Rai che non stava vivendo già più la sua epoca aurea ma
che manteneva comunque una certa dignità, con trasmissioni come Il raggio verde di Santoro, Il Fatto di Biagi e Satyricon di Luttazzi, nelle quali si parlava, tanto per citare un argomento, di personaggi come lo “stalliere” Mangano e si presentava un saggio che all’epoca destò scalpore: L’odore dei soldi di Elio Veltri e Marco Travaglio. Se andiamo a rivedere qualche trasmissione dell’epoca, ci domandiamo increduli: ma davvero eravamo così?
E ce lo chiederemmo pure se decidessimo di andare su YouTube a rivedere l’edizione serale del Tg1 di giovedì 26 luglio 2001,
quando Lilli Gruber mandò in onda il servizio di Bruno Luverà sui pestaggi degli agenti di polizia ai danni dei manifestanti in corso Italia. Quelle immagini hanno contribuito a modificare,
almeno in parte, la percezione degli italiani su ciò che era avvenuto. Il direttore del Tg1, all’epoca, si chiamava Albino Longhi.
Quando i giovani insegnanti dei Dreamers9
hanno lanciato il loro podcast in dieci puntate, rievocando con rara maestria i fatti
del G8 di Genova, le due più significative sono state quelle intitolate Era l’Italia. Perché è vero: l’Italia del 2001 non esiste più.
Non esiste più l’irriverenza di allora, non esiste più quella Rai, non esistono più determinati programmi né sarebbero possibili
nella melassa di conformismo in cui siamo annegati nell’ultimo ventennio, e nell’ultimo decennio in particolare.
Volendo focalizzare l’attenzione sull’editto bulgaro, possiamo dire che esso ha comportato la scomparsa dell’informazione in-
tesa come servizio pubblico. Il passaggio è stato quasi immediato. Ormai anche la Rai ragiona come una televisione commercia-
le. Non è stato un fatto isolato: la mercatizzazione dell’universo
è il tratto dominante dei decenni che ci stanno alle spalle. Scuola, sanità, politica e persino il settore militare, con la privatizzazione
di interi ambiti della macchina militare americana, a cominciare dalle formazioni combattenti, sono stati esternalizzati. Questa
logica privatistica in tutti i gangli della società è un processo generale. Berlusconi, da questo punto di vista, a Sofia ha compiuto
un’operazione militare, arrivando a mandar via dalla Rai giornalisti del calibro di Enzo Biagi, che vi lavorava dal 1961, ossia da quarantuno anni. Non solo, è bene ricordare che nell’estate del
2001 a Biagi venne impedito di realizzare sia uno speciale sui fatti di Genova sia uno speciale sulla morte di Indro Montanelli, un giornalista sicuramente di destra ma con la grave colpa di non amare Berlusconi, anche perché nel ’94 lo aveva costretto ad abbandonare «il Giornale» di cui era stato fondatore e direttore,
e di aver sostenuto che «gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel manganello». Una frase tristemente profetica in
quei giorni d’estate del 2001. Ce n’era abbastanza per fermare Enzo, prima che l’editto di Sofia compisse l’opera.
“Democrazia tradita. Dal G8 di Genova al governo Meloni: la pandemia antidemocratica che ha travolto l’Italia” (Roberto Bertoni e Marco Revelli, Paper First editore)