Il re si presenta ormai consapevolmente nudo e senza pudore. E non c’è peggior cieco di chi si rifiuta ostinatamente di vedere. A chi ha a cuore le sorti di una informazione degna di questo nome non resta che sintetizzare la fase attuale con la storica comunicazione del pilota dell’Apollo 13 alla base terra: “Houston, abbiamo un problema”.
E’ emergenza informazione. Una escalation che ha subìto una veloce accelerazione negli ultimi mesi. La “storica” questione delle querele bavaglio (tese a neutralizzare nel lavoro di ricerca i giornalisti, spesso proprio i meno tutelati di piccole testate) si intreccia con l’attualità del decreto Nordio che limita tra l’altro la diffusione delle intercettazioni. E se così fosse, la documentata puntata di “Report” del 26 giugno scorso sul crollo del ponte Morandi di Genova non avrebbe visto la luce. E così non avremmo neanche conosciuto il totale disprezzo di alcuni dirigenti di società Autostrade verso le vittime del disastro, che è forse la cifra peggiore di questa vicenda che rischia di arenarsi nel mare di cavilli sollevati da ricchi legulei a cottimo.
E poi c’è la sottile (ma sempre più esigua) linea rossa che delimita il confine tra pubblicità ed informazione, una montante mare nera che si allarga sempre più arrivando a straripare sui principali quotidiani nazionali, laddove non è più garantito il diritto dei lettori a cogliere le differenze.
Martedì è arrivato il macigno della bozza del contratto di servizio che delinea gli obblighi della Rai quale servizio pubblico con l’omissione di alcuni capisaldi quale la valorizzazione del giornalismo di inchiesta, minore visibilità alla coesione sociale e all’inclusione e maggiore peso della natalità, del made in Italy e di tutto quanto sta emergendo dagli interventi su questo sito.
Chi oggi guida la Rai sta usando il peso elettorale della coalizione al governo e gli strumenti giuridici e amministrativi ideati in precedenza da sciamannati politici furbastri che hanno posto la radiotelevisione di stato sotto il controllo dell’esecutivo e realizzato la riforma aziendale con l’abolizione delle reti e la creazione delle direzioni di genere. Chi pensò queste trasformazioni credeva di continuare a vincere in eterno. Ma così non è stato. Si è fatto strame del rispetto per opposizioni e minoranze: oggi se ne paga il conto con gli interessi.
L’attenzione dei mass media è concentrata più sul “Grand Hotel Rai, gente che va, gente che viene” e sulla giostra dei conduttori (che si ripropone puntuale ad ogni stagione) piuttosto che sui radicali cambiamenti in atto. Anche l’opposizione (paurosamente spaccata ed impegnata un contro l’altra armata in intense pratiche tafazziane) non sembra cogliere la portata degli avvenimenti. Qualche farraginosa e tardiva critica non serve a recuperare il terreno perduto, anzi spiana la strada al nuovo che avanza.
Oggi il quotidiano “Il Domani” titola significativamente “Il Molise non esiste. I dem restano muti dopo l’ennesima sconfitta”. Di questo passo dopo il Molise, si aggiungeranno altri disastri: basterà solo cambiare il soggetto.
Romano Prodi, attento osservatore, nei giorni scorsi ha messo in guardia l’opposizione. “Le nomine sono sempre state controllate dal governo. Adesso però c’è il rischio che abbia tutto nella stessa mano. Questo è un problema serio per il paese. I problemi di equilibrio in democrazia sono temi da affrontare con serietà ma da tenere presente perché le cose stanno così…”. Una sveglia che per ora non ha sortito particolari effetti.
Eppure il tentativo di riscrivere i fatti alla luce di nuovi equilibri è stato teorizzato da tempo ed oggi trova felice applicazione senza particolari inciampi. Certo il lavoro (che manca) e la sanità pubblica allo sfascio sono temi fondamentali per la sopravvivenza. Ma senza una informazione adeguata come riusciremo a raccontarne le sfaccettature?
Perciò è necessaria una vasta mobilitazione per difendere il diritto all’ informazione che si tende sempre più a comprimere. Non è dunque un argomento accademico che riguarda solo gli addetti al settore. L’informazione è un bene prezioso e da salvaguardare perché come scrive George Orwell “Se la libertà ha un senso, questo è il diritto di raccontare alle persone ciò che non vogliono sentirsi dire”.
(Nella foto il ministro Carlo Nordio)