Il Consiglio regionale della Lombardia ha bocciato la mozione, della quale sono stato primo firmatario, che chiedeva di delegare un rappresentante della Giunta, o del Consiglio stesso, per portare l’attenzione dell’Istituzione regionale partecipando al Milano Pride con la fascia istituzionale. Una mediazione, certo, per recuperare un po’ di dignità dopo il rifiuto alla richiesta di patrocinio, che comunque non ha raccolto la maggioranza dei voti durante il dibattito consiliare. Il dibattito in cui eravamo chiamati a decidere se il Pride meritasse o meno la nostra attenzione è stato inadeguato, a tratti mortificante. Nell’affermare ciò che dico non penso tanto a me, ma agli attivisti, a quelli storici ma anche ai giovanissimi, che dopo una vita di battaglie, o in procinto di attraversare per la prima volta le marce per i diritti, si fossero sentiti additare come delle macchiette. Accuse di blasfemia, anatemi, tentativi di ridicolizzare centinaia di migliaia di vite, osservazioni di costume, inviti a tenere un basso profilo, a non chiedere i diritti in maniera troppo “evidente”, questi sono stati grossomodo gli argomenti dei miei colleghi del centrodestra.
In particolare, mi interessa sottolineare la tesi secondo la quale sarebbe compito della maggioranza quello di dire alle minoranze come manifestare il proprio dissenso e portare avanti le battaglie inerenti alle proprie vite, quelle stesse battaglie che non tolgono nulla a nessuno ma che invece allargano, tenendo assieme persone lgbtq+, persone con disabilità, persone razzializzate e transfemministe. Qualcun altro dei loro, senza rendersi conto di tradire quello sguardo quasi corporativo che un pezzo della classe politica di questo Paese ha sui diritti delle minoranze, rispondeva in aula chiarendo che il problema dei Pride sarebbe il carattere troppo politico di quelle azioni collettive. In un primo momento, davanti a una considerazione del genere, si potrebbe avvertire un certo senso di ottundimento, chiedendosi in effetti quale dovrebbe essere il carattere di una marcia, che – lo ricordo – nasce dalle proteste, che porta centinaia di migliaia di persone ad attraversare le nostre città ogni anno, per avere piena uguaglianza, se non quello politico. L’uguaglianza non è forse un valore politico? Forse non per tutti, o perlomeno non per coloro che sfruttano l’esistenza di discriminazioni e diseguaglianze per rinforzare la posizione dei gruppi dominanti nella gerarchia sociale, opprimendo le minoranze. Ma a questo gioco non ci stiamo più. E ci troveranno pronti.