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Kosovo: conflitti interni e responsabilità internazionali. Una crisi senza soluzioni?

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Lo scorso 29 maggio, 30 militari del contingente Nato Kfor, tra cui 11 italiani, sono rimasti feriti negli scontri con i dimostranti serbi a Zvecan, nel nord del Kosovo.

I militari erano intervenuti per disperdere i dimostranti serbi in protesta contro il nuovo sindaco di etnia albanese.

L’episodio si colloca all’interno di una serie di scontri tra la polizia kosovara e i manifestanti serbi intenzionati a bloccare l’insediamento di alcuni sindaci, sempre di etnia albanese, eletti in città a maggioranza serba, dopo un’elezione boicottata fin da principio dagli stessi serbi. Le città interessate sono Zubin Potok, Leposavic e Mitrovica Nord.

Le elezioni svoltesi il 23 aprile hanno visto la partecipazione di meno del 4% degli aventi diritto.

Il Kosovo è una ex provincia serba a maggioranza albanese che ha dichiarato l’indipendenza nel 2008, atto non riconosciuto da Belgrado, da Russia a Cina e da alcuni paesi dell’Unione europea.

(Fonte: https://www.difesa.it/InformazioniDellaDifesa/periodico/IlPeriodico_AnniPrecedenti/Documents/Chi_ha_detto_no_allindipendenza_d_467Kosovo.pdf )

Agli inizi di quest’anno, altri nove paesi africani hanno revocato la loro precedente decisione di riconoscere l’indipendenza della provincia serba del Kosovo. Sono, quindi, 25 gli stati dell’Africa che non riconoscono l’autonomia kosovara e questo potrebbe anche dipendere dalla volontà di distanziarsi sempre più dall’Occidente e proseguire il percorso di avvicinamento alle potenze emergenti, alla Russia, alla Cina, ai BRICS.

L’indipendenza del Kosovo non è stata proclamata a seguito di un referendum bensì di una votazione dell’Assemblea regionale kosovara. Contrariamente alla prima dichiarazione di indipendenza del 1990, questa del 2008 ha visto dei riconoscimenti dagli altri stati – la prima fu riconosciuta da nessuno. Ma la Serbia non l’ha mai riconosciuta, indicandola come illegale perché in netta violazione dell’articolo 8 della Costituzione serba. Ma nessuna violazione del diritto internazionale, per cui la Corte internazionale di Giustizia ha respinto il ricorso.

Il processo di dialogo e cooperazione, tanto auspicato dalle Nazioni Unite, non c’è mai veramente stato e la situazione nel paese, tra alti e bassi, è stata sempre paragonabile a una miccia pronta a far esplodere le bombe a ogni minima scintilla.

(Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ex_Jugoslavia_-_Former_Yugoslavia_2008.PNG )

Dopo l’incontro a Ohrid, in Macedonia del Nord, avvenuto lo scorso 18 marzo, sembrava si potevano fare passi in avanti nel Piano europeo in 11 punti avanzato da Bruxelles, su iniziativa di Francia e Germania, per raggiungere una stabilizzazione nell’area. Anche se va ribadito che non erano stati siglati documenti ufficiali e proprio il premier kosovaro Kurti ha manifestato le più evidenti resistenze, motivandole con il diniego alla formazione di una Associazione delle municipalità a maggioranza serba nel nord del Kosovo.[1] Le medesime in forte agitazione in questi giorni. Una questione identitaria, politica e istituzionale che rimanda alla complessità della storia passata e attuale dell’intera area della ex-Jugoslavia.

Belgrado dal canto suo, pur senza la necessità di un ufficiale riconoscimento dell’indipendenza, dovrebbe smettere di ostacolare l’ingresso di Pristina nelle organizzazioni internazionali.[2]

L’interscambio commerciale tra Italia e Kosovo ha registrato un’apprezzabile espansione negli ultimi anni e l’Italia è tra i principali partner economici di Pristina. In particolare, nel 2021 l’Italia è risultata quinta sia come fornitore (dopo Germania, Turchia, Cina e Serbia) che come cliente del Kosovo (dopo Stati Uniti, Albania, Macedonia e Germania) e seconda tra i paesi UE dopo la Germania.

L’Italia è anche uno dei più importanti investitori in Serbia. La presenza di imprese italiane si concentra in diversi settori strategici, tra cui l’energia, l’agricoltura, la finanza e l’industria tessile. L’Italia è stata nel 2021 il terzo partner commerciale della Serbia e quarto paese fornitore (preceduta da Cina, Germania, Russia) e terzo paese acquirente (dopo la Germania e la Bosnia-Erzegovina).[3]

Provenendo da un ambito prettamente agricolo, la debole economia del Paese è oggi essenzialmente sostenuta dal settore dei servizi, con i comparti industriali e agricoli troppo deboli per produrre a sufficienza e per sostenere una normale dialettica economica con altri stati partner. Il Kosovo, infatti, esporta meno di qualsiasi altro stato dell’Europa, in larga misura prodotti agricoli e materie prime di basso valore, mentre l’import riguarda quasi tutti gli ambiti merceologici.

Lo sviluppo economico degli ultimi anni sta provocando un cambiamento nella composizione della popolazione, che sta lentamente abbandonando le campagne per trasferirsi nelle aree urbane, principalmente attorno alla capitale. Il reddito pro-capite dei cittadini del Kosovo rimane tra i più bassi d’Europa e il tasso di disoccupazione – intorno al 40% – sommato al grande numero di poveri – circa il 30% della popolazione vive sotto la soglia di povertà – hanno favorito il sorgere di attività illegali nel territorio.

La corruzione, i traffici illeciti e soprattutto il crimine organizzato sono i problemi più gravi che devono essere affrontati dal governo. La libertà di espressione risulta di fatto limitata a causa della mancanza di sicurezza.[4]

Secondo il World Press Freedom 2023 il Kosovo si trova alla 56esima posizione su un totale di 180 stati inseriti nell’elenco. Posizionamento non di certo ottimale, tra l’altro non così distante da quello italiano che è al 41esimo posto. A onor del vero va comunque sottolineato il fatto che entrambi i paesi sono in risalita rispetto al rapporto precedentemente pubblicato.

Agli inizi del ‘900, quando il Kosovo faceva ancora parte dell’Impero ottomano, gli albanesi costituivano i due terzi della popolazione. Agli albori del secondo conflitto mondiale, la politica serba di ripopolazione della provincia provocò l’aumento percentuale della popolazione serba – che raggiunse il 34.4% -. Negli anni della Repubblica federale socialista jugoslavia, la popolazione albanese ha sempre continuato a crescere, fino a raggiungere agli inizi degli anni Novanta l’81.6% della popolazione.

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, i Balcani vennero invasi dalle truppe italo-tedesche: il Kosovo e la parte occidentale della Macedonia furono occupate militarmente dall’Italia e, successivamente, unite all’Albania fino a quando, dopo la resa dell’Esercito italiano nel settembre ’43, i territori albanesi non rimasero occupati dalle truppe tedesche intente a realizzare una Grande Albania nazista. Fallita l’esperienza, nel 1944, gli albanesi finirono per frammentarsi al loro interno proprio sulla base della resistenza comunista al nazismo.

Con l’avvento del 1968, la regione si infiammerà nuovamente con la richiesta da parte degli albanesi di trasformare il Kosovo in una Repubblica indipendente, la settima della Federazione jugoslava.

Il Kosovo restò una provincia autonoma della Serbia e, alla morte del maresciallo Tito nel 1980, gli studenti fomentarono nuove manifestazioni, rivendicando non solo migliori condizioni di vita ma, soprattutto e ancora, l’indipendenza della Repubblica del Kosovo.

Nel 1987 Slobodan Milošević, allora leader della Lega dei Comunisti di Jugoslavia in Serbia, venne inviato in Kosovo per tentare una pacificazione, tuttavia egli prese ben presto le parti dei serbi.[5] Allorquando divenne presidente della Repubblica di Serbia le cose per certo non migliorarono. La nuova dichiarazione di indipendenza del 1990 venne riconosciuta solamente dall’Albania.

Negli anni successivi, nuovi innesti di profughi in Kosovo, operati dal governo serbo nel tentativo di modificarne l’equilibrio demografico, provocarono lo sdegno di diversi Paesi, che prosegui fino al 1995, momento in cui, dopo la fine della guerra in Bosnia-Erzegovina, una parte degli albanesi kosovari scelse la lotta armata indipendentista. Guidati dalla Ushtria Çlirimtare e Kosovës (UCK), un’organizzazione che si avvalse anche di veterani di guerra, gli indipendentisti si macchiarono però di una serie di crimini indiscriminati non solo verso la popolazione kosovara slavofona, ma anche verso quella componente kosovaro-albanese rimasta neutrale e pertanto giudicata colpevole di tradimento.

A questa nuova spirale di violenza, il governo di Belgrado rispose con altrettanta determinazione e, visto che la questione del Kosovo non era stata sollevata dalle potenze occidentali intervenute nella regione con gli accordi di Dayton, Miloševič si sentì con le mani libere per dare inizio alla sua politica repressiva contro i kosovari di etnia albanese: si registrarono veri e propri massacri di civili, distruzioni di case, scuole e luoghi di culto. Circa 11.000 albanesi, secondo stime parziali, restarono uccisi, altri 800.000 furono costretti a fuggire verso Albania e Macedonia, ove si rifugiarono anche i vari combattenti dell’UCK che avrebbe continuato a fomentare ribellioni nella regione fino a quando, nel 1999, non esplosero in vero e proprio conflitto armato. L’intervento di alcune forze internazionali in difesa della componente albanese del Kosovo pose fine alla pulizia etnica, e le due parti vennero invitate a trovare una soluzione comune.

In base alle Risoluzione 1244/99 del CdS dell’Onu, in Kosovo si sono insediati un governo e un Parlamento provvisorio sotto il protettorato internazionale UNMIK e Nato e, negli anni successivi, la situazione sarebbe andata lentamente normalizzandosi. Dal 2006, dopo la morte del presidente Rugova, vennero avviati nuovi negoziati tra la delegazione kosovara serba e albanese sotto mediazione Onu per la definizione del futuro status della provincia. Nonostante numerosi incontri tra le parti, il piano finale previsto non fu mai condiviso. Nel frattempo, grazie a una nuova fase di democratizzazione della Serbia, il governo di Belgrado garantì al Kosovo lo status di ‘’Provincia Autonoma’’. L’Unione europea, nel 2008, ha approvato l’invio in Kosovo della missione civile “EULEX”, sostituendola a quella Nato, per favorire la transizione del Paese verso un assetto adeguato alla modernità. Si registrarono comunque proteste fondate sul presupposto dell’assenza di un mandato diretto da parte dell’Onu. La stessa Russia definì l’iniziativa non conforme al dettato normativo disposto in Consiglio di Sicurezza.

Il 17 febbraio 2008, riunitosi in seduta straordinaria, il Parlamento di Pristina ha approvato la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, adottando propri simboli nazionali. Il discorso pronunciato dal premier Thaci delinea una Repubblica democratica, secolare e multietnica, fondata sulla legge. Passati nemmeno dieci minuti da quella proclamazione, il governo di Belgrado ha dichiarato illegittima e illegale simile rivendicazione. Su posizioni contrarie anche la Russia e la Cina, entrambe dotate di potere di veto in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che mai si è pronunciato in favore dell’indipendenza kosovara, ritenendo formalmente valida la risoluzione 1244/99.

Con la ratifica della nuova Costituzione, controfirmata dal capo della missione “EULEX”, si è aperta una nuova pagina nella storia del Kosovo. Esso viene ritenuto in linea con gli indirizzi proposti dagli Stati europei: la Costituzione infatti dispone l’assetto di diritto tipico delle società occidentali moderne, sancendo che il governo di Pristina si impegnerà ad attuare uno Stato laico, rispettoso delle libertà di culto e in grado di garantire pienamente i diritti di tutte le comunità etniche locali. A fronte dell’assenza di un’organizzazione statale pienamente definita, le forze internazionali continuano a mantenere le proprie truppe sul territorio, con scopi di formazione e protezione. Con la ratifica, inoltre, si è chiusa la fase di operatività della missione “UNMIK”, attraverso il passaggio di consegne alla missione “EULEX”.

Con la Costituzione del 2008 alcuni poteri esecutivi tenuti dall’UNMIK sono inoltre stati trasferiti al governo kosovaro, la cui autorità, tuttavia, non è stata ancora riconosciuta nel Kosovo del Nord, nonostante i vari tentativi operati dalla comunità internazionale sui piani della legittimazione e della stabilizzazione. Secondo il governo serbo infatti, la risoluzione 1244 si applicherebbe unicamente sui territori del “Kosovo a maggioranza albanese”.[6]

Territorio soggetto a una crescente presenza delle forze dell’ISIS, arretrato economicamente e attraversato da grandi rischi di violenti disordini interni, il Kosovo rimane ad oggi uno Stato giovane che deve far fronte a molteplici sfide. La posizione lungo la rotta balcanica e la sua stessa storia ne fanno però un attore che sarà inevitabilmente coinvolto nei mutamenti geopolitici regionali. Nonostante l’apparente continuo avvicinamento ai Paesi membri o vicini all’Alleanza Atlantica, ad oggi il Kosovo non ha ancora raggiunto quel grado di stabilità, sviluppo e credibilità nazionale necessari ad una normalizzazione dei rapporti diplomatici. Rapporti che con l’Occidente, vista la presenza delle forze internazionali sul territorio (sia in campo militare sia come supporto istituzionale) e vista la dipendenza del governo di Pristina dal credito estero, rimarranno solidi fino a quando la Repubblica del Kosovo si dimostrerà capace di attuare le riforme necessarie a trasformare uno Stato arretrato in un Paese moderno.

In Europa, la contestazione al riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo che più salta all’occhio è certamente quella della Russia. Storicamente legata a Belgrado dalla comune appartenenza slavo-ortodossa, Mosca ritiene che l’indipendenza del Kosovo violi i principi del diritto internazionale e possa costituire un precedente per analoghe situazioni.

Di tono analogo a quello russo sono state le reazioni degli stati dell’area caucasica, da tempo impegnati a fronteggiare tendenze separatiste all’interno dei loro confini. Il caso dell’Azerbaigian, per esempio, da sempre praticamente alle prese con la questione del Nagomo-Karabakh, l’enclave a maggioranza armena che ha cercato la secessione. Negative anche le prime reazioni da parte della Georgia, della Moldavia, della Bielorussia e dell’Ucraina.

La Spagna teme che il Kosovo possa favorire non tanto le aspirazioni indipendentiste della Catalogna quanto quelle delle Province Basche. Stesse posizioni per la Romania per il nodo della minoranza ungherese all’interno dei suoi confini.

I dubbi avanzati dal Portogallo hanno riguardato l’anormalità dell’indipendenza del Kosovo sotto il profilo giuridico mentre Cipro aveva motivato il suo no per i pericoli nei rapporti internazionali e per non creare un precedente al quale si sarebbe potuta appoggiare la Repubblica Turca di Cipro del Nord, l’entità statale autoproclamata e riconosciuta solo da Ankara.

Più sfumata è sempre apparsa la posizione della Grecia, per la quale è necessaria un’intesa consensuale tra le parti, tenendo in considerazione il particolare ruolo svolto dalla Serbia per gli equilibri e la stabilità nella regione.

Tra i paesi asiatici spicca il no della Cina, ufficialmente per i rischi di una destabilizzazione dell’area, ma sempre legato ai timori della creazione di un precedente che potrebbe essere poi applicato dalle regioni dove più forti sono le spinte autonomistiche, quali Tibet, Sinkiang e Taiwan. E, proprio quest’ultima, che si era schierata a favore dell’indipendenza ha poi ricevuto dal Kosovo parere negativo riguardo le sue spinte autonomistiche.[7]

Tra le cause dell’inasprirsi delle relazioni tra Kosovo e Serbia molti hanno voluto vedere o ipotizzare un coinvolgimento diretto della Russia, principale alleato politico serbo. In realtà, fin dalla crisi del 2022, Mosca ha avuto un ruolo passivo giovando comunque dei benefici derivanti dalla situazione. Più i Balcani sono instabili, maggiori saranno gli ostacoli nel loro processo di integrazione europea.

Per Bruxelles, risolvere la questione del Kosovo significa rilanciare la propria assertività nei Balcani, obbligando il governo Vucic a una scelta di politica estera univoca. Per anni il presidente serbo ha goduto di ottimi rapporti commerciali con l’Unione europea e di un’alleanza strategica con la Russia. L’attività diplomatica europea e il nuovo piano proposto, mira quindi a imporre l’Unione come unico attore globale sulla questione kosovara, occupando il principale campo d’azione dell’influenza russa.[8]

I kosovari percepiscono una duplicità nell’atteggiamento politico e diplomatico europeo. Emblematico il caso dell’annosa questione dei visti. Il Kosovo resta l’unico paese dei Balcani Occidentali la cui popolazione è di fatto isolata dal continente, nonostante la Commissione europea abbia accertato il soddisfacimento di tutti i requisiti formali per la revoca dell’obbligo di visto d’ingresso. Parigi e L’Aja sono additate come principali responsabili dello stallo ma il malumore della popolazione, cavalcato da tutte le forse politiche, non fa distinzioni e viene rivolto contro l’intera Unione. Questi sentimenti sono a volte ricambiati dalle istituzioni europee, dove si registra una forte delusione per le iniziative unilaterali come la fuga in avanti della trasformazione delle forze di sicurezza kosovare in forze armate vere e proprie, o l’imposizione di aggressivi dazi sulle importazioni dalla Serbia e dalla Bosnia-Erzegovina, revocati solo dopo intense pressioni americane ed europee.

Benché il quadrante veda crescere la competizione tra sfere d’influenza occidentale, turca, russa e persino cinese, almeno per ora lo sguardo del Kosovo sembra rivolto a ovest. I kosovari forse accettano a fatica di non poter ambire a diventare il 51esimo stato a stelle e strisce, ma, sentendosi europei – nella variante mediterranea -, e avamposto europeo prima dell’Oriente, si risentono per la presunta alterigia di Bruxelles.

L’aspirazione europea e atlantica del Kosovo è fuori discussione, ma Pristina si dichiara non disposta a pagare qualunque prezzo per entrare in Ue, soprattutto se ciò implica rinunce territoriali o la rimessa in discussione della propria sovranità. L’Italia risulta essere un interlocutore privilegiato tanto di Pristina quanto di Belgrado[9] ma l’Europa tutta dovrebbe agire sempre con una voce unica e rinunciare a progetti di nicchia che, inseguendo improbabili ambizioni di leadership continentale, indeboliscono, anziché rafforzare, il peso stesso dell’Unione nelle trattative e nel processo di integrazione.

  1. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/escalation-kosovo-130182
  2. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/serbia-e-kosovo-svolta-in-vista-119282
  3. https://www.infomercatiesteri.it
  4. https://www.freedomanatomy.com
  5. FreedonAnatomy, op.cit.
  6. FreedonAnatomy, op.cit.
  7. R. Bastianelli, Panorama Internazionale: Chi ha detto no all’indipendenza del Kosovo, Informazioni della Difesa, n° 2 – 2009 ( www.difesa.it )
  8. Fonte: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/serbia-e-kosovo-svolta-in-vista-119282
  9. N. Orlando, Europa e Kosovo: il momento delle scelte e il ruolo dell’Italia, Dibattito: La UE e i Balcani: la scommessa dell’allargamento, CESPi – Centro Studi di Politica internazionale: https://www.cespi.it/it/eventi-attualita/dibattiti/la-ue-i-balcani-la-scommessa-dellallargamento

 


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