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Erdogan resta al potere, per la Turchia si annunciano 5 anni ancora più autoritari

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Eravamo consapevoli che l’era di Recep Tayyip Erdogan non fosse al tramonto. Una flebile speranza si era affacciata con l’opportunità del ballottaggio in Turchia. Ma era un’aspettativa effimera anche se significativa. Per la prima volta Erdogan non era passato al voto al primo turno.
Alla fine l’unico dato che conta è che l’autoritario presidente turco è ancora al potere, dove intende restare a lungo.
Con i risultati del secondo turno delle elezioni di domenica scorsa, l’uomo forte della Turchia ha consolidato il suo posto come politico più importante della nazione e uno dei leader più resilienti e più longevi del mondo.
Il leader 69enne ha ottenuto il 52% dei voti rispetto al 47,9% del suo sfidante, Kemal Kilicdaroglu.
A confermare il dato nella prima mattinata di oggi il capo della Commissione elettorale turca.
Una vittoria ma non un trionfo che per la terza volta gli affida la presidenza della Repubblica di Turchia, dopo già ventun anni ai vertici delle istituzioni del Paese.
“Speriamo di essere degni della vostra fiducia, come lo siamo stati per 21 anni” le prime parole del presidente rieletto che non ha rinunciato a ridicolizzare con arroganza il suo avversario con un “Ciao ciao ciao Kemal”, aggiungendo che “L’unico vincitore oggi è la Turchia”.
Ma la pensano così anche la metà dei turchi che non lo hanno votato?
Confrontando le immagino di oggi con quelle del passato dei sostenitori di Erdogan scesi in strada a festeggiare, a suonare il clacson delle proprie auto, questa grande partecipazione di chi lo ha votato non c’è stata.
Forse il popolo turco è cosciente di ciò che la maggior parte degli analisti ritiene scontato: i prossimi cinque anni di Erdogan preannunciano un governo più assertivo e autorevole che mai.
Il leader dell’AKP, il partito di maggioranza turco, è al potere dal 2003, prima come premier e poi dal 2014 come presidente della Turchia.
Nei suoi anni di governo ha consolidato il suo potere attraverso modifiche costituzionali, erodendo le istituzioni democratiche del paese, compresi il sistema giudiziario e i media.
Ha inoltre incarcerato innumerevoli oppositori e giornalisti: circa una cinquantina di operatori dell’informazione attualmente sono in prigione, molti di più in attesa di processi.
Ha represso le proteste antigovernative ed è sfuggito a un’indagine sulla corruzione nella sua cerchia ristretta.
La sua azione autoritaria è stata tale che nel “World Report 2022” Human Rights Watch ha affermato che il partito di Erdogan “ha riportato indietro di decenni la situazione dei diritti umani della Turchia”.
Il V-Dem Institute svedese ha indicato il paese come “uno dei primi 10 Stati autrocratizzanti al mondo” e nel 2018 ne ha declassato lo status da “parzialmente libero” a “non libero”.
Il professore di geopolitica europea all’Università Carlo III di Madrid, Ilke Toygür, sostiene che c’è da aspettarsi persino “atteggiamenti più spaventosi su democrazia e politica in Turchia”.
Erdogan, inoltre, potrebbe spingere per una maggiore islamizzazione, secondo  gli analisti i quali evidenziano come che prima della sua ascesa al potere. la Turchia era fermamente laica, tanto che l’uso del velo da parte delle donne era vietato in molti luoghi pubblici. Durante i suoi mandato da presidente ha ampliato l’educazione religiosa e trasformato la Basilica di Santa Sofia, il monumento storico più famoso della Turchia, da museo a moschea. Erdogan ha costantemente spinto la nazione in una sfera più islamista e il governo potrebbe perseguire politiche ancora più islamiste destinate a limitare, in particolare, le libertà delle donne.
I prossimi cinque anni di Erdogan sembrano dunque segnati da un percorso inevitabile di nuove e costanti violazioni dei diritti, di repressioni per imbavagliare e far tacere tutti gli oppositori o chiunque manifesti un pensiero critico.


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