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Il politico perde la querela e paga le spese Accade a Catania, nuova assoluzione per Antonio Condorelli direttore di Live Sicilia

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Una inchiesta giornalistica pesante, ricca di particolari, perfettamente riscontrabili nella realtà. Una notizia scritta secondo l’insegnamento di Walter Tobagi, il giornalista lombardo ucciso nel 1980 per i suoi articoli sulla stagione terroristica di quegli anni: quando un giornalista ha una notizia, fondata e di rilievo pubblico deve fare solo una cosa, scriverla. Ed è quello che ha fatto il giornalista catanese Antonio Condorelli, direttore del sito Live Sicilia, a proposito delle malefatte di certa politica. Una inchiesta la sua sull’allora rampollo di Forza Italia a Catania, Riccardo Pellegrino. Un processo scaturito da querela e durato cinque anni. Nei giorni scorsi il Tribunale di Catania ha assolto il giornalista e condannato il politico al pagamento delle spese. Condorelli è stato difeso dagli avvocati Francesco e Nicola Condorelli Caff, era accusato di diffamazione a mezzo stampa, dopo la querela di Pellegrino, ex berlusconiano etneo. Si tratta – dopo le denunce di Pellegrino – della terza assoluzione penale per Condorelli, che ha vinto anche in sede civile: ad assisterlo in quella sede sono anche gli avvocati Nunzio Condorelli Caff, Fernando Lo Voi e Petrone che rappresentano, questi ultimi, LiveSicilia e il mensile d’inchiesta S. Il giudice Silvia Passanisi ha depositato in questi giorni le motivazioni.
L’articolo contestato
Il giudice analizza il contenuto del servizio giornalistico che si occupava del ruolo di Riccardo Pellegrino, eletto nel 2007 nella Municipalità di San Cristoforo, nel 2013 al consiglio comunale e nel 2017 candidato alle regionali per Forza Italia. Secondo le accuse del pentito Salvatore Viola, il politico – ricostruisce il giudice nella sentenza – sarebbe stato supportato da “soggetti inseriti nell’organico di clan mafiosi, attraverso cui era riuscito a ottenere voti e consensi, facendo specifico riferimento a personaggi di rilievo criminale, legati alla famiglia Mazzei, noti nel quartiere San Cristoforo”. Condorelli scriveva che “nonostante la richiesta di archiviazione, in mancanza di elementi in grado di sostenere l’accusa in giudizio per il reato di scambio elettorale politico mafioso, non si escludevano possibili misure di prevenzione”.
La difesa di Pellegrino
L’ex consigliere comunale di Catania ha accusato il giornalista di aver “sofferto molto assieme alla propria famiglia a causa di questa pubblicazione, effettuata in piena campagna elettorale”, ha anche dichiarato di essere cresciuto a San Cristoforo, un “quartiere difficile” e questo non “implica necessariamente l’essere vicini alla criminalità organizzata”.
La difesa del giornalista
Condorelli è stato interrogato argomentando che l’ipotesi di possibili misure di prevenzione era stata fatta dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro in commissione Antimafia, quando si valutava la parentela di Riccardo Pellegrino con Gaetano, imputato di associazione mafiosa con il clan Mazzei.
La testimonianza di Claudio Fava
Il 24 settembre del 2021 è stato sentito come teste della difesa Claudio Fava, ex componente della commissione nazionale Antimafia ed ex presidente della commissione antimafia regionale nella scorsa legislatura, che ha confermato come, a cavallo tra il 2016 e 2017, fosse stato audito il procuratore di Catania che “analizzava alcuni rapporti di parentela e amicizia intercorrenti tra consiglieri comunali e sodali di associazioni di stampo mafioso, suggerendo loro un approfondimento. In particolare – scrive il giudice – Gaetano Pellegrino, fratello di Riccardo, già condannato per reati di estorsione e minaccia, era stato raggiunto da un nuovo ordine di custodia cautelare. Il procuratore riferiva, inoltre, che si stava valutando proprio la possibilità di chiedere l’applicazione di misure di prevenzione nei confronti del consigliere comunale Riccardo Pellegrino”.
Le motivazioni
Il giudice ha ritenuto sussistere la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, “non può prescindersi – argomenta – il requisito della verità del fatto storico posto a fondamento dell’elaborazione critica, in ogni caso il giornalista ha l’onere di esaminare, controllare e verificare l’oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio sulla veridicità.
“Il giornalista – si legge nella sentenza – accosta il nome di Pellegrino Riccardo Angelo alla famiglia Mazzei, poiché questi è amico di infanzia di Carmelo Mazzei, figlio del boss Nuccio dei Carcagnusi. La circostanza che Carmelo Mazzei sia figlio di Nuccio Mazzei è incontrovertibile, così come l’amicizia che lega Pellegrino allo stesso Mazzei”. Lo stesso ex consigliere “ha affermato di conoscere dall’infanzia Carmelo Mazzei, il quale ha intrapreso la strada del sacerdozio, lontano dalla famiglia di origine”.
Vera è anche “la notizia dell’imputazione mossa nei confronti del fratello, Gaetano Pellegrino, ritenuto esponente della famiglia Mazzei, accusa per la quale questi – all’epoca della pubblicazione dell’articolo – era stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere e successivamente condannato”. Il giornalista ha fornito ampio spazio alla replica del politico nello stesso articolo, rispettando i dettami della sentenza Decalogo. Su queste basi, Condorelli è stato assolto, perché il fatto non sussiste.
(Nella foto Antonio Condorelli)

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