Si è svolta a Roma, presso la Casa della Memoria, la conferenza per il lancio della campagna «Cittadinanza onoraria a Julian Assange», promossa da un Comitato promotore di cui fanno parte Articolo Ventuno, Free Assange Italia, Italiani per Assange, La mia voce per Assange, ReteNoBavaglio, ANPI Provinciale di Roma, Arci di Roma, Acli Roma Lazio, Ordine dei Giornalisti del Lazio, Legambiente Lazio Roma, Federazione Nazionale Stampa Italiana, Stampa Romana, Cgil di Roma e Lazio, Amnesty Italia, UISP, sindacato dei giornalisti della Rai, Giuristi democratici e Forum del Terzo settore.
La campagna prende avvio dall’appello inviato al sindaco Roberto Gualtieri, a tutti i Consiglieri capitolini e ai presidenti dei Municipi di Roma, volto a conferire ad Assange la cittadinanza onoraria della Capitale.
Si tratta di un gesto simbolico molto importante che il Comitato chiede al Sindaco di compiere nel nome della pace, in un momento storico così grave come quello che stiamo vivendo. Roma, già sede della firma dello Statuto istitutivo della Corte Penale internazionale e, ancora prima, sede dei Trattati di Roma, che videro la nascita della integrazione europea, volta a scongiurare per sempre ulteriori guerre nel nostro continente, deve essere simbolo della tutela dei diritti umani e della libertà di stampa, sancita nella nostra Costituzione.
Il conferimento della cittadinanza onoraria ad Assange significherebbe esprimere, da parte della città, pieno sostegno ad un giornalista che è l’emblema della difesa di un diritto fondamentale quale è la libertà di informazione; e sarebbe un importante segnale di solidarietà a tutte le persone che subiscono ingiustamente la violazione dei diritti umani.
Nella bozza di mozione inviata, il Comitato sottolinea che non si tratta di un semplice gesto umanitario, bensì di un gesto concreto in una fase di profondo oscurantismo e di repressione a livello globale ai danni della libertà di informazione. Sappiamo che, a livello legale, il suo collegio di difesa potrà poco contro una legge anacronistica come l’Espionage Act, dove non si contempla che le presunte violazioni della stessa siano state compiute nel pubblico interesse, principio cardine del lavoro di WikiLeaks. Potrà poco anche contro il fatto che Assange, non essendo cittadino statunitense, non potrà appellarsi al Primo Emendamento, che sancisce il principio dell’assoluto rispetto della libertà di espressione e che non protegge soltanto gli operatori dei media, ma anche i privati. Con esso la libertà di stampa e la libertà di espressione vengono accorpate in un unico diritto, anche nel caso in cui vengano diffuse informazioni sensibili. Ma tale principio sacrosanto non vale per Assange, che si trova in un limbo perverso da cui potrà salvarlo solo l’opinione pubblica, la quale è stata distratta inizialmente da notizie infamanti nei confronti di Assange, e pure dall’oblio più assoluto, anche da parte dei suoi colleghi che hanno intinto la penna nel copioso calamaio di WikiLeaks.
Ma l’aria sta cambiando, forse grazie a questa dolorosa guerra che dopo molti anni torna ad insanguinare l’Europa, che ci ha fatto capire quanto importante sia l’informazione libera, senza censure e senza condizionamenti dall’alto. E così, i giornali che tredici anni fa fecero la fortuna con WikiLeaks, e che per lungo tempo hanno taciuto sul loro collega privato della libertà e dei diritti più basilari per qualsiasi cittadino, da The Guardian al New York Times a Der Spiegel a El Pais a Le Monde, con cui all’epoca WikiLeaks collaborò per analizzare ed in seguito pubblicare i file ricevuti, hanno recentemente chiesto di rivedere le scelte giudiziarie finora assunte.
Meglio tardi che mai, e soprattutto meglio anche per loro visto che, se passerà il fatto che un giornalista potrà essere incarcerato (con un pretesto qualsiasi) e incriminato solo per aver fatto il suo lavoro, nemmeno le grandi testate potranno sentirsi al sicuro (ragione per cui Obama non incriminò Assange e graziò Chelsea Manning, l’analista che aveva fatto giungere a WikiLeaks il video Collateral Murder). L’eventuale estradizione di Assange e una sua condanna avrebbero un effetto intimidatorio immediato su tutti i giornalisti del mondo, e si aggiungerebbe alla già preoccupante condizione di crescente repressione nei confronti dell’informazione a livello globale.
L’aria sta cambiando non solo per i media, bensì pure per i cittadini, che spontaneamente formano comitati pro Assange e si attivano per squarciare il silenzio attorno a lui, pretendendo nei loro Comuni, grandi o piccoli, che le amministrazioni si esprimano concretamente a favore di Assange, consci dell’enorme potere che hanno i cittadini quando si coalizzano per una causa. Cittadini che spesso hanno cambiato idea su Assange grazie a libri coraggiosi e ben scritti come “Il Potere Segreto” di Stefania Maurizi, “Julian Assange. Niente è come sembra” di Germana Leoni e ora la traduzione appena uscita in Italia de “Il processo a Julian Assange. Storia di una persecuzione”, dell’ex relatore speciale dell’ONU sulla tortura, Nils Melzer, e infine il libro appena uscito “Distruggere Assange. Per farla finita con la libertà di informazione” di Sara Chessa. Quattro testi che raccontano non solo la storia di Assange, i contenuti dei principali file rivelati da WikiLeaks ma anche come sia cresciuta l’empatia da parte dell’opinione pubblica verso Julian Assange.
E in questo clima speranzoso e perseverante, nella Conferenza sono intervenuti Vincenzo Vita, a nome di Articolo21, Fabrizio De Santis a nome di ANPI e che faceva gli onori di casa, Marino Bisso a nome della ReteNoBavaglio, Daniele Costantini e Flavia Donati a nome di La Mia Voce per Assange, Daniele Macheda segretario dell’USIGRai, Aldo Galli della sezione ANPI “Giacomo Matteotti”, Guido D’Ubaldo Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, e la sottoscritta a nome di Free Assange Italia e dei comitati per Assange. Ha tirato le fila Marco Veruggio di NoBavaglio a nome degli organizzatori.
L’auspicio è di estendere la richiesta anche agli altri comuni della provincia e del Lazio, per dare un concreto contributo affinché il governo, da verificare nel suo senso per la democrazia, dia a sua volta un segnale agli stessi alleati e a Sua Maestà, appena incoronata.
Fonte: Il Manifesto”