La parte sud occidentale dell’isola, che dista dalla costa africana la metà dei chilometri che separano Cagliari da Sassari, è la patria dei sardi ‘maurreddinus’. Il colore moro della pelle non deriva da una maggiore esposizione al sole ma da avi che subirono nei secoli le invasioni dei ‘saraceni’. Al centro dell’isola, campidanesi e barbaricini, con caratteristiche somatiche dipendenti anche dai lavori prevalentemente svolti, sono del tutto diversi dai ‘Maurreddinus’ così come gli algheresi, orgogliosamente di origine catalana, o i galluresi il cui accento alto toscano fa intuire quali popolazioni nei secoli scorsi giunsero ad abitare quelle terre accanto agli autoctoni.
Chi di questi è più o meno italiano? E che dire degli occhi azzurri di tanti siciliani discendenti dai normanni, o dei calabresi che giustamente rivendicano ascendenze nella Magna Grecia, dei valdostani, dei friulani, dei veneti, dei lombardi? La domanda è: se io che non so disegnare dovessi chiedere che venisse rappresentato il mio amato Paese con i volti di chi lo abita, cosa sceglierei? La razza umana ha tanti diversi colori, andrebbe sempre ricordato.
Dare dignità di ricerca giornalistico-scientifica ad un approccio demagogico verso un problema serio produce risultati come la copertina di ‘Panorama’. Che questo modo di porre il problema lo faccia un esponente politico per rivendicare la propria collocazione ideologica attiene alla propaganda partitica. Ma perché colleghi – che immagino proiettati più sulla professione che sull’appartenenza – vengono spinti a fare altrettanto e porsi sul terreno dell’imitazione?
Credo che la lezione più profonda, partecipata, sincera su questo tema l’abbiano proposta in ben altri tempi i napoletani, grazie alla umanità di cui sono portatori, una delle migliori espressioni in Italia. La lezione ha un titolo ‘Tammurriata nera’ e credo che il suo testo dovrebbe essere sulla scrivania di ognuno di noi quando dobbiamo o ci proponiamo di occuparci della questione
Un sorriso bonario, di comprensione, di accettazione, di accoglienza, anche di leggera ironia, per una realtà incontrovertibile, altro che ‘sostituzione etnica’. E chiudo con un augurio a tutti quelli che credono che si verifichi questo che loro ritengono un rischio. L’augurio è che una loro persona cara – figlio, sorella, fratello – porti all’interno della famiglia un colore diverso – nero, giallo, rosso, olivastro – frutto di una irresistibile storia d’amore. Forse allora capiranno.