I dati sono brutali, impietosi. Dal 2007 a oggi la povertà assoluta in Italia è triplicata. Chiunque abbia governato, il punto è che le persone, che proprio non ce la fanno più, sono passate dal 3,1% della popolazione italiana a quasi il 10%. In numeri assoluti parliamo di 5 milioni e mezzo di individui, 2 milioni di famiglie, un milione e mezzo di bambini e ragazzi. Sembrano numeri ma disegnano una situazione tragica. Per Eurostat siamo fra i peggio messi nella UE. Da noi una persona su quattro è a rischio esclusione sociale, quasi 15 milioni sono quelli che non hanno un abitazione o un lavoro decente o non possono permettersi un “pasto proteico” almeno ogni due giorni. Figuriamoci istruzione e sanità. A questo proposito anzi, nei giorni scorsi, la Fondazione Cariplo ha confermato che il “divario di futuro” è enorme: solo l’8% dei giovani con genitori senza titolo di studio riesce a laurearsi. Commentando il rapporto Cariplo il Cardinal Zuppi (Presidente Cei) ha usato queste parole “Un cazzotto nello stomaco, la povertà diventa un destino, altro che sogni di uguaglianza, giustizia e fraternità”. A completare il quadro descrittivo un’ultima annotazione. Chi sono i più colpiti? Famiglie numerose, donne, mezzogiorno, immigrati con permesso di soggiorno, ma il quadro complessivo è talmente devastato da riguardare l’intero territorio nazionale.
Restano alcune domande. Le metto in fila. Come siamo potuti arrivare a tutto questo? Siamo un paese di tradizioni “solidaristiche”, dalla crisi del 2008 però si è dissolto tutto. Perché? Seconda domanda: i media hanno dato adeguato rilievo a questa “tempesta silenziosa” che ha sconvolto la società italiana? Tranne qualche servizio “compassionevole” ( le “curiose” code alle mense Caritas) direi proprio di no visto lo spessore del problema. I ricchi, i vincenti, le imprese, il mercato hanno voce. Poveri e emarginati, magari stranieri, decisamente no. Sono le vittime di un modello sociale che pare non avere alternative. I riflettori non hanno illuminato le periferie dell’emarginazione, al massimo c’è stato qualche reportage che ha mostrato situazioni di degrado ma non ha suscitato alcuna “reazione civile” o effetto politico. Sul campo si sono visti solo i volontari, gli unici che oggi fanno qualcosa di concreto per gli altri.
E adesso con la destra al potere cosa accadrà? Sui media che fanno da supporto ideologico al governo c’è una eccitazione trionfalistica per l’abrogazione del Reddito di Cittadinanza. I fannulloni da divano (peraltro derisi da tutti negli anni scorsi) sono finalmente “col sedere per terra”, dovranno andare a lavorare e tacere. E così in una situazione dove i poveri raddoppiano che si fa? Si abolisce una misura di sostegno e protezione. Come andrà a finire? Vedremo, ti rispondono.
Ma è tutto una visione ideologica culturale che non lascia tranquilli. Se il centro sinistra è stato ipocrita e disattento su questi temi, la destra col suo impianto pseudo darwiniano, di fatto si propone di salvaguardare unicamente “le categorie protette”, gli altri ( figuriamoci gli stranieri) si arrangino. L’enfasi sul merito ( se a scuola vanno avanti solo i figli dei laureati che meritocrazia può esserci?), sul “rimboccarsi le maniche”, l’invenzione del termine “occupabili” al posto di disoccupati non promettono nulla di buono.
Certo la società non è mai immobile. Le contraddizioni possono sempre esplodere. E poi un terreno di intervento concreto e comprensibile c’è: è quello del salario minimo, un’azione diretta contro lo sfruttamento Perché uno dei fenomeni più inquietanti degli ultimi anni è quello del vertiginoso aumento dei lavoratori poveri. Gente che un’occupazione ce l’ha ma non riesce a arrivare lo stesso a fine mese. Sostenerli con proposte serie ( e non fasulle come alcune circolanti) è un primo passo importante. Sullo sfondo la domanda delle domande: ma quello della disuguaglianza totale è il paese dove vogliamo vivere? Che cos’ha in comune con quanto sancito dalla nostra Costituzione?
Immagine di copertina (https://www.businesstude.com/)