VENEZIA – Roberta Novielli, specializzata in Cinema presso la Nihon University di Tokyo, insegna discipline legate al cinema e alla letteratura giapponese, oltre che ai processi multimediali asiatici, presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. È curatrice del sito AsiaMedia e organizza e dirige il Ca’ Foscari Short Film Festival. Ha collaborato a varie attività cinematografiche presso festival internazionali (Venezia, Tokyo, Locarno, tra gli altri), dove in molti casi ha organizzato rassegne filmiche. Tra le sue pubblicazioni principali, Metamorfosi. Schegge di violenza nel nuovo cinema giapponese per Epika, Lo schermo scritto (con P. Scrolavezza) per Cafoscarina, Floating Worlds. A Short History of Japanese Animation per crc Press. Per Marsilio è autrice di Storia del cinema giapponese e Animerama. Storia del cinema d’animazione giapponese. Giovane signora di grande energia e passione che abbiamo intervistato per Articolo21.
Da quali esperienze personali è nata in lei l’idea di dar vita a un festival del film corto, iniziativa che non esisteva in nessuna università europea?
Io, oltre agli studi di cinema, ho lavorato per anni in vari festival: la Mostra del Cinema, il festival di Locarno, di Tokio … paradossalmente quando sono andata a studiare a Tokio nel ’91 il mio primo lavoro è stato in un festival fatto da studenti a Tokyo. Da allora penso che sia una realtà bellissima: mi piace il corto in sé, sintesi di idee profonde, che rende possibile ai giovani registi farsi conoscere. E poi nei ragazzi c’è un’energia naturalmente differente.
Essendo la sua una proposta nuova, è stato difficile farla accogliere?
All’inizio c’è stata sicuramente una reazione che non chiamerei diffidenza, piuttosto un senso di incredulità che in ambito accademico potesse realizzarsi un festival dinamico, fatto da studenti. Molti pensavano che il lavoro accademico fosse soprattutto organizzare convegni in cui si argomentasse di cinema … invece noi fin dall’inizio abbiamo puntato sul fatto che si parli pochissimo e si veda tantissimo perché, in molti casi, il cinema parla da sé.
In questa edizione tutti o quasi i corti in concorso possiedono un grande spessore, non sono solo belli esteticamente. Il concorso è a tema libero? Sono i ragazzi che spontaneamente pongono certi problemi?
Non indichiamo nessun tema, i ragazzi sono liberi di esprimersi. Noi scegliamo solo secondo un criterio di qualità. Cosa non facile visto che il concorso è formato da trenta corti e ne erano arrivati 3015. Qualità vuol dire che la storia funzioni, che la fotografia sia bella e così via. Inoltre paradossalmente, pur non dando un indirizzo, questo emerge spontaneamente. Sono tendenze della società contemporanea. Ad esempio quest’anno si sono occupati molto dell’emigrazione, a volte l’interesse dominante è stato sulla violenza all’interno della famiglia. C’è’ una inclinazione naturale, spesso tragica, a far prevalere alcuni argomenti. Non è una nostra scelta, bensì dei ragazzi.
Il festival fa un lavoro educativo. La cultura è un antidoto che può guarire i conflitti? Crea un mutamento interiore nelle persone?
La cultura in generale, l’arte in particolare possono essere strumentalizzate: possono sostenere i diritti umani, ma anche diventare propaganda o semplice espressione personale. L’importante, secondo me, è dar voce a tutti. La voce è sempre quella che viene messa a rischio dai totalitarismi. Per questo è importante offrire la possibilità ai giovani di esprimersi. Sono più genuini e sinceri quando parlano delle problematiche dei loro paesi, più spontanei perché affrontano argomenti meno sedimentati e razionalizzati. Le voci nuove ci aiutano a comprendere quello che accade.
Quali soddisfazioni le ha dato questa ammirevole e, ovviamente, faticosa impresa?
Naturalmente è molto bello vedere che chi è venuto negli anni è sempre tornato. Nella nostra decima edizione, abbiamo invitato la vincitrice della prima, che nel frattempo è diventata una documentarista. Molti giovani che avevano partecipato al Ca’ Foscari Short Film Festival, poi hanno trovato uno sbocco lavorativo: alcuni nell’organizzazione di eventi, altri negli uffici stampa, ad esempio. Non si tratta certo di “imparare l’arte e poi metterla da parte”, ma credo sia parimenti importante che l’arte stessa aiuti a vivere meglio, non solo dal punto di vista dell’interiorità, anche da quello dell’esistenza pratica.