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Quando il lavoro uccide. L’inchiesta su Repubblica

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“Quando il lavoro uccide” questo il titolo scelto da Repubblica inchieste per raccontare uno dei temi più dimenticati, quello delle stragi sul lavoro. Al suo interno ritroviamo personaggi che i lettori di Articolo21 conoscono bene: Marco Bazzoni e Carlo Soricelli. Un viaggio tra le storie singole, le testimonianze, come quella di Rosario D’amico, (raccontata anche su questo sito) e l’analisi volta a scandagliare una normativa deficitaria.

E’ davvero inevitabile morire di lavoro?
di Massimo Razzi

“E’ l’unico caso in cui lo Stato rinuncia alla potestà punitiva – spiega il magistrato fiorentino Beniamino Deidda, grande esperto di sicurezza sul lavoro, nell’intervista di Pasquale Notargiacomo – . Non avviene neanche per il furto di una mela”. La frase di Deidda descrive una situazione in cui il datore di lavoro che non ha ottemperato alle norme di legge e ha causato un incidente, può cavarsela semplicemente mettendosi in regola: come se a un ladro bastasse restituire il maltolto per evitare il processo. Una frase che può davvero collocarsi alla base di questa inchiesta che cerca di leggere e spiegare numeri, legislazione, incongruenze e contraddizioni di un tema delicatissimo: quello della salvaguardia della vita e della salute di chi lavora. Un’inchiesta che cerca di capire quali sono i punti deboli della nostra normativa e cosa si può fare per far sì che il Paese riesca a colmare il suo ritardo a livello continentale e raggiunga almeno i livelli medi europei.

I dati dicono che un miglioramento, nel tempo, c’è stato. Tra il 2002 e il 2011 (fonte Inail) gli infortuni sono scesi da 992,655 a 725.174 all’anno e i morti da 1478 a 920. Si può obiettare che uno dei motivi della discesa è dovuto al fatto che, con la crisi, meno persone sono impegnate nei settori più pericolosi (costruzioni, agricoltura e industria), ma anche depurando i numeri di questo fenomeno, il calo resta. L’altro aspetto di cui tener conto, però, è l’enorme dato del “nero” che “vale” da 160 a 200 mila incidenti con un numero di morti assolutamente imprecisato. Secondo l’Osservatorio di Bologna diretto (a prezzo di durissimi sforzi) dall’ex operaio Carlo Soricelli, i morti sarebbero molti di più: almeno 1200. La disomogeneità dei rilevamenti rende sempre più urgente l’entrata in funzione del Sinp (Sistema informativo nazionale prevenzione) che dovrebbe garantire certezza ed omogeneità.

Tutto questo senza contare la questione delle malattie professionali che, secondo l’Inail, causano un altro migliaio di vittime e, secondo altre fonti, anche tre/quattromila, con lo spettro delle morti da tumori causati dall’amianto che, secondo gli esperti, raggiungerà il suo picco intorno al 2015.

Partendo dai numeri e scavando anche attraverso diverse testimonianze, l’inchiesta mette in luce il fatto che c’è ancora una carente coscienza del fenomeno. Persino il presidente dell’Inail, Massimo De Felice sembra propendere per una situazione quasi “fisiologica” di “ineluttabile fatalità”. E il potere politico, in questi ultimi anni, ha cercato, soprattutto, di togliere e allegerire i controlli nel tentativo (velleitario e pericoloso) di aiutare così la ripresa economica e l’attività delle imprese: nel 2008, alla fine del suo mandato, Prodi riuscì ad approvare il decreto legislativo 81/2008 che constava di 306 articoli e aveva bisognoi di 36 decreti attuativi per espletare effettivamente i suoi effetti. Il governo successivo, con il dlgs 106/2009 ha di fatto depotenziato il testo unico introducendo soluzioni peggiorative in materia di responsabilità dei datori di lavoro. I controlli sono diminuiti al punto che, oggi, un’impresa italiana ha buone probabilità di non vedere mai, nel suo arco vitale, un ispettore del lavoro in visita. Pochi hanno reagito: tra questi, certamente, Marco Bazzoni, un operaio metalmeccanico qualsiasi che lavora in un’azienda toscana e ha dedicato la sua vita al tema della sicurezza diventando una specie di autorità nazionale in materia. Nello scetticismo generale, Bazzoni ha raccolto le firme per chiedere all’Unione Europea di aprire una procedura d’infrazione nei confronti  dell’Italia: “Hanno stravolto l’impianto della legge con la deresponsabilizzazione del datore di lavoro  – attacca Bazzoni -, e la proroga del documento di valutazioni dei rischi per le nuove aziende”.  Nello stupore generale, il 21 novembre scorso, l’Ue gli ha dato ragione e ha inviato un parere motivato all’Italia, che ha due mesi di tempo per evitare pesanti sanzioni.

Sempre Bazzoni si è occupato di un altro tema che la nostra inchiesta affronta e approfondisce: quello dei risarcimenti irrisori per chi muore sul lavoro. Soprattutto se è giovane e non ha una famiglia da mantenere. In sostanza: la vita di un ragazzo di 25 anni che lavora da poco (e,quindi, guadagna poco), non è sposato e non mantiene i genitori, vale meno di duemila euro: il prezzo dei funerali. Il presidente dell’Inail allarga le braccia: “Così dice la legge”. Ma, a partire da una realtà in cui gli stipendi sono troppo bassi, la difficoltà di trovare un lavoro e, quindi, diventare autonomia dalla famiglia, è enorme, diventa chiaro che l’attuale normativa, oltre a essere inumana, è anche ingiusta e sbagliata.

Una serie di testimonianze e approfondimenti video aiutano a capire meglio il problema: dal giovane magazziniere-musicista con la mano rovinata, al figlio che cerca da anni la verità sulla morte del padre travolto da un muletto nello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco, alla denuncia del sindacalista gambizzato dalla camorra, al viaggio con la telecamera nascosta nel cantiere a rischio crollo. Il quadro che esce dall’inchiesta è preoccupante. E, intanto, ogni giorno, almeno duemila persone si fanno male o molto male sul lavoro e tre di loro ci lasciano la vita. Possiamo ancora parlare di fatalità?

Vai all’inchiesta completa su Repubblica


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