C’è solo lui al centro del grande palcoscenico del Teatro dell’Opera di Damasco, il presidente Bashar al-Assad. Tra drappi rossi e applausi scroscianti. Tutto intorno ci sono solo macerie, ma dentro il teatro dell’Opera il Presidente parla in un clima surreale che sembra voler esorcizzare la realtà. Non si sentono violini, né c’è un bel pianoforte a coda ad accompagnarlo mentre racconta ai gerarchi che gremiscono la platea e i palchetti che lui ha un piano , un piano in tre punti per la riconciliazione. Con chi?
Non con i terroristi, che stanno tentando di disintegrare il Paese, seguaci di Al Qaida e dell’Occidente, la “strana coppia” dei due potenti nemici che vogliono uccidere la Siria. No, con loro, con i pupazzi dell’Occidente e di Al Qaida, nessuna riconciliazione. Il capo urla ai suoi quasi a garantirgli l’impossibile: a loro solo bombe, fino alla vittoria. E allora questa riconciliazione con chi si fa?
Si fa con quegli individui o partiti interessati a discutere con lui, Assad II, e auspicabilmente ultimo.
La discussione prevista dall’arguto piano produrrà l’ennesima costituzione, che verrà sottoposta all’ennesimo referendum e quindi porterà all’ennesimo voto per l’ennesimo Parlamento. Ecco qua, il progettino per uscire da una guerra costata in in 21 mesi 60mila morti ammazzati accertati, è servito.Ma non basta: lui, Bashar al-Assad, proprio e niente.meno-che lui, promette ai detenuti, al termine del percorso “riconciliatorio”, un generoso “indulto”.
La domanda è ovvia: visto che un piano del genere non potrà essere preso in considerazione neanche da un singolo oppositore, perché scomodare tante comparse per riempire un teatro? La risposta è molto semplice: Assad doveva uscire dalla tana, doveva farsi vedere, doveva battere un colpo per dire ai suoi che non era sepolto in un bunker. Ma poteva farlo soltanto in un’aula chiusa, sigillata. E lo ha fatto cercando di infondere a sé stesso prima che agli altri l’illusione che la Siria sia ancora quella di 21 mesi fa.