Non solo la necessità di esprimersi attraverso l’arte, ma il desiderio di raggiungere per mezzo delle proprie opere la comunità civile al di fuori del carcere. Dopo Cervignano del Friuli, Gorizia e Monfalcone, questa settimana la mostra “(P)Arte da dentro” ha raggiunto Trieste. Quadri e manufatti realizzati da un gruppo di persone detenute in regime di Alta Sicurezza ristrette presso la Casa Circondariale di Tolmezzo saranno ospitati al piano terra del Palazzo di Giustizia di Trieste fino al 25 febbraio, con orario di visita aperto al pubblico 8.00-14.00 da lunedì a sabato. Nello stesso periodo alcune opere saranno esposte in locali e attività commerciali della città, invitati ad aderire all’iniziativa dalla Conferenza Regionale Volontariato Giustizia che ha organizzato e realizzato la mostra in collaborazione con l’associazione ICARO odv e il Garante comunale dei diritti dei detenuti del Comune di Trieste.
Le opere sono state realizzate nell’ambito di laboratori autogestiti e autofinanziati, nati dalla proposta di un gruppo di detenuti nel tentativo di occupare il tempo e dare contenuto alla pena. Se la possibilità di svolgere delle attività risponde alla necessità di evitare che il tempo in carcere si riduca ad essere un tempo di attesa, e un laboratorio artistico in particolare offre gli strumenti per riflettere, esprimersi, scoprire potenzialità, l’ulteriore scelta di aprirsi al pubblico per dare voce al proprio punto di vista ‘da dentro’ e – allo stesso tempo – chiedere al visitatore di porsi in relazione attraverso la restituzione sul libro degli ospiti di pensieri ‘da fuori’ ci interroga inevitabilmente sull’interlocutore: persona prima di detenuto, che non solo raggiunge traguardi, ma che si sente parte di una comunità, a cui attribuisce un’importanza e riconosce un ruolo nella propria vita.
Da questa sollecitazione, e dal desiderio di approfondire l’importanza della rete sociale anche per il concreto reinserimento delle persone che hanno scontato la pena, in occasione dell’apertura della mostra e in collaborazione con la Garante comunale dei diritti dei detenuti del Comune di Trieste l’associazione Senza Confini Brez Meja odv ha promosso lo scorso lunedì 6 febbraio l’incontro “Le misure alternative e sostitutive alla detenzione in carcere. L’importanza della rete territoriale” presso la propria Bottega del Mondo, una delle sedi della mostra diffusa.
Come ha premesso la Garante Elisabetta Burla, è fondamentale considerare le misure alternative alla detenzione in carcere, come anche la concessione dei permessi premio, non regalie ma modalità più proficue per eseguire la pena e per consentire un passaggio graduale dalla detenzione all’uscita.
La cosiddetta Riforma Cartabia prevede inoltre la possibilità per il Giudice che decide del reato di applicare al condannato misure sostitutive alla pena detentiva in carcere, che Enrico Miscia, referente per il Friuli Venezia Giulia dell’osservatorio carcere delle Camere Penali Italiane, ha introdotto: Lavori di Pubblica Utilità (che prevedono lo svolgimento di un’attività non retribuita a favore della società); detenzione domiciliare sostitutiva (che prevede la permanenza in casa con la possibilità di uscire per provvedere alle indispensabili esigenze di vita e di salute); semilibertà sostitutiva (che consente di trascorrere una parte della giornata fuori dal carcere per svolgere attività lavorativa, di studio, di formazione professionale, a fronte di almeno 8 ore in carcere).
«In carcere la pena è connotata prevalentemente dall’ afflittività e dallo scorrere quasi inerte del tempo» ha osservato Rita Bergamo, Responsabile dell’area di misure e sanzioni di comunità dell’UDEPE – Ufficio Distrettuale Esecuzione Penale Esterna di Trieste «mentre in tutte le tipologie di misure alternative e di comunità oltre ai vincoli e prescrizioni che limitano la libertà sono richiesti impegni proattivi per prendere consapevolezza del danno creato con il reato e per ripararlo attraverso varie azioni (risarcimento, lavori di pubblica utilità, volontariato, percorsi di mediazione, etc) previsti in appositi programmi definiti con e dall’UEPE». La cosiddetta area penale esterna costituisce l’ambito prevalente dell’esecuzione penale ed è in espansione anche su impulso delle diverse normative che si sono succedute.
Al 15 dicembre 2022 a Trieste 1030 persone risultavano infatti in carico all’UEPE rispetto alle 180 presso la Casa Circondariale, per le quali la presenza di una rete sociale è fondamentale anche nel caso dell’applicazione di misure alternative (affidamento in prova e detenzione domiciliare) nel dare contenuto all’aspetto riparativo e permettere alla persona che sta scontando la pena di inserirsi in un contesto diverso, sperimentare nuove relazioni e attività, il percorso che meglio garantisce l’inserimento sociale.
Della messa alla prova (MAP) ha parlato Valeria Bizzarri, Referente per i Lavori di Pubblica Utilità dell’UDEPE. Si tratta di una misura applicata dal Giudice prima del processo, che prevede dei percorsi di responsabilizzazione che consentano di comprendere le conseguenze del reato per la persona offesa o per la società; e un profilo riparativo, con l’obbligo di svolgere lavori di pubblica utilità e auspicabilmente un risarcimento del danno alla persona offesa laddove individuata.
Strumenti legislativi che prevedono necessariamente il coinvolgimento della società libera. L’importanza del volontariato non solo all’interno ma anche all’esterno del carcere è stata testimoniata da Massimo Bressan, referente della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia, che ha portato l’esempio di alcune esperienze di accompagnamento nel percorso di permesso premio e di elaborazione delle attività di effettiva riparazione in cui i volontari possono avere un ruolo importante. E ulteriormente sottolineata da Rita Bergamo: «Per dare contenuto a questi programmi è fondamentale il coinvolgimento della comunità in tutte le sue espressioni, tra cui gli enti del Terzo Settore, che possono offrire la loro competenza nei percorsi di educazione alla legalità, di risocializzazione o ancora offrendo spazi ove le persone condannate o imputate possono offrire il loro tempo, la loro capacità gratuitamente a favore della comunità riparando in qualche modo la lacerazione che si è creata con il reato». In questo contesto, realtà come la Bottega del Mondo che ospitava l’incontro costituiscono un esempio di sostegno e sensibilizzazione. Attraverso la diffusione del commercio equo e solidale vengono valorizzati e commercializzati, infatti, anche i prodotti realizzati nelle carceri d’Italia e da cooperative e imprese che assumono persone in esecuzione penale, contribuendo a stabilire quel “ponte tra il dentro e il fuori” essenziale perché la pena non si riduca alla punizione, ma possa davvero mirare al reinserimento. E alla gestione del punto vendita i volontari affiancano un’intensa attività culturale, educativa e formativa sul territorio. A chiudere l’incontro, come da consuetudine, alcuni consigli di lettura dallo scaffale della BibliotEqua di Senza Confini, arricchito per l’occasione di nuovi titoli.