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Il dramma di Tamer e migliaia di turchi mentre Erdoğan stringe di più il bavaglio

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Sono rimasto solo, quando la casa è caduta io  non c’ero. Sono corso li appena ho potuto, ho visto il corpo di mia moglie. Era ancora viva,  chiedeva aiuto ma io ero impotente mentre i miei figli erano già morti. Urlava di sbloccarla, ma io non riuscivo perché c’erano troppe travi; poi c’è stato un crollo. Pietre e polvere ci hanno investito, non riuscivo più a vedere nulla. Ne a sentire il lamento di Shirin”..
Il racconto di Tamer, da Adyman, una delle città più colpite dal sisma è solo uno dei tanti drammi che stanno vivendo le popolazioni di Siria e Turchia per il sisma che lunedì scorso ha distrutto tutte le aree interessate dal magnitudo di 7,8 che ha spostato di almeno tre metri il suolo dell’Anatolia.
Si contano oltre 15 mila morti nel Sud-Est turco e il Nord siriano.
A fronte della tragicità del momento il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, fortemente criticato per la gestione della catastrofe che si è abbattuta sul suo paese, ha colto la palla al balzo per dichiarare lo stato di emergenza per tre mesi e imbavagliare e oscurare, ancora di più, il dissenso.
Le contestazioni a Erdoğan sono arrivate sia dalle persone che abitano nelle città più colpite sia dai suoi avversari politici, in un periodo particolarmente delicato per via delle elezioni politiche che si terranno a metà maggio nel paese..
Erdoğan è intervenuto pubblicamente per chiedere l’aiuto internazionale ma temendo ricadute negative ha fatto in modo di silenziare ì social per impedire la divulgazione di notizie a lui sgradite.
Ma resta da vedere se riuscirà a sfuggire alle conseguenze politiche, dicono gli analisti.
“Se un edificio crolla in una nota zona sismica, è una tragedia”, spiega Borzou Daragahi, un membro senior del think tank Consiglio Atlantico e giornalista.
“Se ne cadono a dozzine in diverse grandi città significa che era una tragedia prevedibile. La Turchia aveva promesso di implementare modifiche alle sue pratiche edilizie dopo il tragico terremoto del 1999 che ha causato 17.000 morti. Aveva istituito nuove regole di costruzione e implementato l’assicurazione obbligatoria contro i terremoti per tutti gli edifici.  Ma architetti e urbanisti avvertono da anni che le regole non vengono seguite in modo rigoroso” ha aggiunto.
Molte delle aree che sono state distrutte dai terremoti, come Gaziantep, Hatay e Şanlıurfa, hanno visto un boom edilizio, negli ultimi due decenni, incoraggiato da Erdoğan che ha cavalcato lo sviluppo a fino elettorali.
Gli enormi progetti di costruzione hanno coinvolto aziende che hanno forti legami con il presidente turco e il Partito per la giustizia e lo sviluppo al governo. Se si scopre che gli edifici e i condomini più recenti sono stati sproporzionatamente più vulnerabili degli edifici più vecchi, allora la colpa potrebbe essere del partito di Erdoğan che ha anche un’altra “sfida”: trovare rapidamente sistemazioni temporanee per i sopravvissuti e i feriti.
Su questo punto, potrebbe pentirsi di aver represso le ONG e di aver costretto molte organizzazioni della società civile a chiudere.
“Nel 1999 c’erano molte organizzazioni della società civile che erano sul campo a lavorare con le istituzioni statali. Non questa volta perché il governo ha sostanzialmente spazzato via tutti i gruppi della società civile tranne, ovviamente, quelli che promuovono la sua agenda” spiega un collega turco che chiede l’anonimato per timore di ritorsioni.
In vista delle elezioni di maggio, il presidente Recep Tayyip Erdoğan è profondamente consapevole che le sue fortune politiche dipendono da una risposta rapida e decisiva al terremoto di lunedì e alla sua straordinaria capacità di imbavagliare il dissenso


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