La scena che si presenta allo spettatore è inizialmente un vuoto spazio bianco come fondale e una grande tavolata, intorno alla quale si presentano i personaggi in costumi sontuosi. I due fratelli, uno narratore e l’altro protagonista del racconto, sono impersonificati da due attori molto distanti tra loro per età: Cosimo, allora dodicenne rampollo della famiglia Piovasco di Rondò, che dopo il litigio con il padre si autoconfinerà fuori dall’ambito “terreno” giurando di non scendere mai più dagli alberi, è interpretato da Francesco Santagada (nemmeno trentenne), mentre il ruolo del fratello minore Biagio, in confronto remissivo e obbediente, è affidato a Giovanni Battaglia (più vicino ai 60), dalla voce calda e avvolgente, che non ci si stancherebbe mai di ascoltare. D’altronde la voce narrante, anche nel romanzo, è matura ed è guardando a ritroso nella memoria che racconta i tanti anni di peripezie trascorsi sugli alberi dal fratello maggiore: il contrasto visibile tra i due rappresenta immediatamente il lungo svolgersi della storia e la distanza anche caratteriale tra i due fratelli, ribelle e testardo il primo, docile e quasi incanutito fin da piccolo il secondo. Ma in fondo anche Biagio sembra sapere perfettamente che “i grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta”, come dice magistralmente Saint-Exupéry nel Piccolo Principe, non a caso tanto amato da Riccardo Frati. In quest’ottica è un peccato che il Cosimo di Santagada sembri talvolta più capriccioso che determinato, addirittura più capriccioso di Viola, la bambina volubile e affascinante vicina di casa dei baroni Piovasco di cui il baroncino rampante si innamora perdutamente. Ma riprendiamo dall’inizio…
Dopo il litigio con il padre per essersi rifiutato di mangiare un piatto di lumache, Cosimo si arrampica su un albero del giardino di famiglia e dichiara di non volerne più sapere di ridiscenderne. Nessuno avrebbe creduto che il ragazzino facesse tanto sul serio da passarci l’intera esistenza! Perché da quel momento in poi, tutti i suoi spostamenti si svolgeranno sugli alberi, di ramo in ramo. Una bella sfida per una rappresentazione teatrale, ma scopriamo in pochi minuti che la risposta sarà di ottima fattura artigianale e di fine concezione registica: un complesso sistema di scalini obliqui e di corde crea strutture mobili in legno che calano dall’alto e restano sospese sul palcoscenico, inframmezzate da lunghi veli chiari che evocano la grazia della luce filtrata dalle fronde. Luce che, proveniente ora dal fondale chiaro, ora dall’altro lato della sala su fondale scuro, crea emozionanti giochi di ombre e chiaroscuri, facendo comparire e scomparire il profilo di Cosimo o dei personaggi che con lui si avventurano sugli alberi, rendendoli quasi figurine immateriali, capaci di allontanarsi non solo fisicamente dalla terra e dalla condizione umana dei più. La scenografia mirifica di Guia Buzzi ha puntato sull’astrazione per rievocare l’immagine degli alberi e del cielo che ciascuno di noi si porta dentro. Insieme agli effetti sonori e alla musica, sapientemente rivisitata ma ispirata ai classici repertori settecenteschi, da Mozart a Vivaldi, l’effetto dei drappeggi e delle animazioni di colore sul palcoscenico rende l’idea di un mondo che cambia, in cui Cosimo (ma anche il brigante Gian dei Brughi, in un classico ribaltamento dell’ottica perbenista) cercano di orientarsi leggendo una gran varietà di libri, riflettendo, passando tanto tempo da soli, guardando il mondo da prospettiva nuova. La leggerezza cangiante del mondo aereo di Cosimo si contrappone irriducibilmente alla pesantezza e ristrettezza del passo – terreno e vetusto – del padre, interpretato da un abilissimo e mai sopra le righe Mauro Avogadro. Diverse trovate, con pannelli luminosi e con il ricorso a macchine da scena semplici e ingegnose, risolvono in modo efficace tante potenziali difficoltà nella narrazione: il gatto selvatico ucciso da Cosimo, il cane che gli sarà compagno di vita, il cavallo con cui Viola lascia la sua tenuta per andare in collegio, l’incendio nel bosco domato dai contadini di Ombrosa, non ultima l’affascinante varietà degli alberi, che Calvino conosceva minuziosamente e che fa parte integrante della bellezza eterea del romanzo.
Il secondo tempo è più buio e lento del primo, ma viene illuminato da una delle scene d’amore più memorabili della letteratura novecentesca, lo splendido, conflittuale e intimissimo incontro tra Cosimo e la ex bambina Viola, figlia dei loro vicini di tenuta, che si svolge sugli alberi e che commuove per le parole scelte da Calvino, fedelmente ripetute dagli attori sulle teste degli spettatori del Piccolo.
Lo spettacolo di Frati riesce a mostrare la capacità del teatro di mettere a frutto la creatività artigiana e intellettuale per attivare la fantasia del pubblico, un compito tutt’altro che scontato nell’epoca dell’invasività delle immagini, sempre più esplicite a cui siamo sempre più passivamente sottoposti.
IL BARONE RAMPANTE
di Italo Calvino
adattamento e regia: Riccardo Frati
scene: Guia Buzzi
costumi: Gianluca Sbicca
disegno luci: Luigi Biondi
musiche: Davide Fasulo
animazioni: Davide Abbate
con (in ordine alfabetico) Mauro Avogadro, Giovanni Battaglia, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Diana Manea, Marina Occhionero, Francesco Santagada
Al Piccolo Teatro Grassi di Milano dal 20 gennaio al 5 febbraio