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The son, i tormenti di un adolescente

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Un film che scandaglia l’angoscia di cui è preda un giovane adolescente davanti alla minaccia del “nulla” dell’esistenza.

“The Son”, di Florian Zeller (classe 1979), già presentato in concorso alla 79^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, approderà nelle sale cinematografiche italiane il 9 febbraio prossimo, distribuito da 01 Distribution.

The Son è uno dei tre capitoli della trilogia scritta per il teatro da Zeller dedicata al tema della famiglia (Le Fils, nel 2018, Le Père, nel 2012 e Le Mère, nel 2010) ed è la seconda trasposizione cinematografica della pièce teatrale che segue il pluripremiato “The Father – Nulla è come sembra”, che si è aggiudicato numerosissimi premi internazionali, tra cui, nel 2021, un Oscar a Zeller per la migliore sceneggiatura non originale e un Oscar ad Antony Hopkins come migliore attore protagonista.

Ma torniamo al film The Son.

A differenza di The Father, in cui veniva affrontato il tema della malattia – André è malato di alzheimer e non riesce più a riconoscere la sua stessa figlia né a ricordare alcuni accadimenti del suo passato – in The Son, invece, il racconto scandaglia il rapporto tra una coppia di genitori separati e l’unico figlio maschio, Nicholas, un diciassettenne che non riesce ad accettare la rottura di quel matrimonio, una volta pieno di amore.

Nicholas vive oramai da alcuni anni con la Mamma, Kate (Laura Dern), una donna depressa, ancora innamorata dell’ex marito, incapace ad adattarsi alla nuova condizione di single, ancor di più a comprendere i tormenti di Nicholas, di cui inizia ad aver paura. Un rapporto complicato, dunque, quello tra madre e figlio, la qual cosa acuisce il vuoto esistenziale di Nicholas e la sua incapacità di affrontare la vita di tutti i giorni, la scuola in particolare dalla quale fugge. E’ così che un bel giorno decide di trasferirsi a vivere dal Padre, Peter (Hugh Jackman) – un avvocato di successo che si è rifatto nel frattempo una nuova vita con un’altra donna, Beth (Vanessa Kirby) dalla quale ha avuto, da poche settimane, un altro figlio – nella speranza (forse) di poter trovare in questa nuova famiglia l’affetto e la comprensione di un tempo; un surrogato della sua precedente vita felice.

Ma, dopo un iniziale e promettente avvio – Nicholas riprende a frequentare una nuova scuola dopo aver abbandonato da mesi la precedente – la sua nuova vita inizia ben presto ad avvitarsi su se stessa per sprofondare di nuovo nel baratro dal quale sperava di uscire, e non basteranno le esortazioni del padre ad un maggior senso del dovere ed alla responsabilità e l’aiuto di uno psicanalista ad aiutarlo. E neanche la rinuncia ad una promettente carriera politica a Washington di Peter, deciso a essere più presente e vicino al figlio – memore della sua infanzia infelice per avere avuto, a sua volta, un padre anaffettivo ed assente– sortirà alcun effetto.

Straordinario lo scontro dialettico che intercorre tra Peter e suo padre(Anthony Hopkins) nel corso del quale il primo trova finalmente il coraggio di confessargli di aver avuto un’infanzia infelice a causa della sua assenza e del suo comportamento dispotico, e il secondo, di rimando, che non accetta di essere messo sotto accusa nella granitica convinzione di aver avuto nei confronti del figlio un comportamento ineccepibile.

Una narrazione pulita quella di Zeller, asciutta, senza fronzoli, che affronta le questioni che intende sviscerare con semplicità ed efficacia: il tema del disagio giovanile e le conseguenze delle scelte genitoriali che ne possono compromettere la stabilità emotiva, sino ad incidere profondamente sul loro sviluppo psichico, laddove prese con superficialità. D’altronde, è proprio questo comportamento che viene rinfacciato da Nicholas ai suoi genitori: l’aver preso la decisione di divorziare senza tener alcun conto delle conseguenze che tale decisione avrebbe potuto avere su di lui.

Un film da non perdere.

Da segnalare, infine, l’ottima performance del giovane Zen McGrath nel difficile ruolo di Nicholas.


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