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L’umanità si impara a scuola

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L’umanità è tutto. Lo stiamo vedendo in questi giorni a proposito del caso Cospito, ce ne siamo occupati in tante altre vicende, spesso tragiche, che hanno caratterizzato la storia d’Italia, continuerà a essere uno dei nostri cavalli di battaglia. Sempre più spesso, infatti, in questo nostro disgraziato Paese, vediamo all’opera insegnanti e presidi straordinari che si battono con tutte le forze per dar vita a una scuola innovativa e di qualità, ricca di idee geniali, progetti all’avanguardia, metodi educativi in grado di rendere protagonisti ragazzi e ragazze e una passione e una tenacia fuori dal comune. E questa è la maggior parte. Poi purtroppo ci sono delle eccezioni, ma non saremo certo noi ad acuire le divisioni all’interno di una categoria già divisa e solitamente autolesionista. Ci concentriamo, piuttosto, sulle linee guida e sulle indicazioni che piovono dall’alto, al tempo dell’umiliazione e della frustrazione assunta come metodo educativo.
Sosteneva Piero Calamandrei che “trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che scuola può compiere”, scagliandosi contro ogni forma di indottrinamento e ribadendo l’importanza dell’istruzione alla portata di tutti. Ebbene, è questo che oggi si vuole sovvertire. E il modo più semplice per farlo è disumanizzare la scuola. Mi è stato chiesto spesso perché la ami e me ne occupi così tanto. Le ragioni sono molteplici, ma qui voglio citarne tre che mi stanno particolarmente a cuore. La prima è che sono figlio di un’insegnante, vengo da una famiglia di insegnanti e a casa mia la scuola è sempre stata considerata la conquista più importante dello Stato liberale e della Repubblica democratica. Poi c’è il fatto che non posso dimenticarmi come ho cominciato a scrivere su Articolo 21: un pomeriggio tornai da scuola, dove avevo animato una manifestazione contro la “controriforma” Gelmini-Tremonti, fatta solo di tagli e cattiverie varie, e decisi di intervistare Beppe Giulietti per sapere cosa ne pensasse della mobilitazione studentesca in atto in tutta Italia. Sono entrato così e penso di dover restituire alla comunità ciò che mi è stato dato, sotto forma di incontri, opportunità e possibilità di esprimermi liberamente che alla mia generazione, per lo più, sono state negate, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di chiunque. Infine, c’è il terzo motivo, il più importante. Quando terminai la Maturità, dissi di voler restituire alla scuola tutto ciò che mi aveva donato: non tanto in termini di competenze e capacità, o meglio non solo, ma più che mai nella misura in cui mi ha reso migliore. A
scuola, difatti, ho imparato a essere meno presuntuoso, meno giudicante, meno aggressivo, meno egoriferito, meno competitivo nel senso sbagliato, direi quasi tossico, del termine; ho imparato a studiare e a imparare insieme agli altri, che “due teste funzionano meglio di una”, come ci insegnava scherzando la professoressa di inglese, che puoi essere bravo quanto vuoi ma una squadra vince e perde in undici e, aspetto più importante di tutti, che da solo nessuno va da nessuna parte. A scuola ho compreso il senso della collettività e dello stare insieme, del farsi forza l’uno con l’altro, del non lasciare indietro nessuno. A scuola ho visto una meravigliosa professoressa di matematica battersi per salvare tutta la classe perché conosceva il nostro passato, sapeva quanto fossimo stati divisi, l’anno precedente, da una docente di stampo fascistoide e quanto fosse utile per noi non perderci di vista. E così spiegò a colleghe e colleghi che prima dei risultati vengono le persone, e quella lezione me la porterò dietro per sempre. Sempre a scuola ho visto una grande docente di latino e greco apprezzare moltissimo il fatto che i più bravi aiutassero a studiare e a prepararsi chi aveva piu difficoltà per recuperare le insufficienze, facendo sì che nessuno si perdesse per strada.
A scuola ho commesso errori che mi hanno formato come persona, ho imparato a rispettare il bidello alla stessa maniera del preside, perché il rispetto si deve alla persona e non alla carica e ne ha diritto sia chi sta in alto sia, a maggior ragione, chi sta in basso, ho imparato a battermi quando c’è da farsi sentire, a non rassegnarmi e a non arrendermi mai e ho imparato, soprattutto, che “il problema degli altri è uguale al mio”, ossia la politica, di cui mi sono innamorato proprio fra quei banchi, quando ho capito che aveva ragione don Milani a sostenere che “sortirne da soli è avarizia”. Insomma, io ho avuto la fortuna di frequentare la scuola della Costituzione, la scuola dei diritti, la scuola delle grandi passioni civili, la scuola in cui si andava con gioia e col sorriso sulle labbra, la scuola in cui veniva insegnato a ciascuno a prendere per mano il compagno, la scuola in cui non erano sempre rose e fiori ma non ci si perdeva d’animo e si andava avanti, sempre e comunque, insieme, la scuola in cui ci si confrontava ogni giorno, la scuola in cui alla mia professoressa di matematica, terminati gli esami, dissi grazie per avermi insegnato non tanto la sua materia, che “non sarà mai il mio mestiere”, quanto la vita e tutto ciò per cui vale la pena vivere. Non è un caso che siamo ancora in contatto e, ovviamente, in amicizia.
E quando l’estate scorsa sono andato a visitare la Diaz a Genova e ho visto quale lavoro straordinario avesse compiuto il suo attuale preside, gli ho chiesto ingenuamente il perché di tutta quella meraviglia. Mi ha spiegato che lì si era consumato un orrore e lì, di conseguenza, dovevano regnare la bellezza e l’armonia, affinché la memoria storica venisse preservata e ragazze e ragazzi avessero voglia di conoscere e di sapere. Senza quella scuola, se non avessi ritrovato gli occhi dei miei diciassette anni, colmi di incanto, di follia, persino di assurdità forse, senza tutto questo, quell’inchiesta non sarebbe mai esistita e non avrei trovato tante risposte di cui, invece, avvertivo e avverto tuttora il bisogno. Non avrei saputo ricongiungere la mia storia alla storia del Paese e sarei rimasto con un vuoto incolmabile dentro. E non sarei cresciuto neanche professionalmente, oltre che umanamente, nemmeno un po’, perché avrei perso di vista le ragioni per cui scrivo su questo sito da quindici anni e per cui ho compiuto determinate scelte e deciso di frequentare alcune persone e non altre.

Ogni volta che sentite questo governo parlare di scuola, vi venga dunque il sospetto che vogliono toglierci tutto questo. Vogliono togliere ai ragazzi e alle ragazze di oggi la passione, il senso del loro agire, il piacere dello stare insieme, l’importanza delle condivisione, la bellezza della comunità che non giudica e non esclude, la cittadinanza nella sua accezione più nobile e significativa; insomma, la scuola, che non è di destra o di sinistra ma di chiunque. È il luogo in cui si abbattono le barriere, si eliminano le disuguaglianze e si fa in modo che chi è destinato a perdersi non si perda.
Io ho cominciato ad amare la scuola quando i miei insegnanti mi hanno fatto capire di aver bisogno dell’altro, anche di chi ne sapeva meno di me, perché sarebbe arrivato il giorno in cui avrei avuto bisogno di un suo consiglio o anche solo di un suo sorriso e di un suo incitamento. E queste non sono utopie, non sono sogni, non sono favole: è la realtà, più concreta che mai. Sono le fondamenta del nostro essere cittadine e cittadini di una democrazia matura, in cui si parte dall’uomo inteso come “animale politico” (Aristotele) e si arriva ai principî basilari della Costituzione.
Persino durante il fascismo la scuola, nonostante tutto, in qualche misura, seppe resistere. Prova ne sia la testimonianza struggente di Liliana Segre quando ricorda la “banalità del male” della maestra che le disse che non era colpa sua se erano state vatate le Leggi razziali. Sì maestra, era anche colpa sua e della sua ignavia, della sua accettazione passiva di ciò che non era accettabile, e anche questo lo abbiamo imparato a scuola.
Ho sempre più l’impressione che tutto questo, ai rappresentanti dell’attuale governo, dia fastidio, come testimonia anche il disprezzo che profondono a piene mani nei confronti di chi li ha preceduti e ha sempre detto, al contrario, che alla scuola deve tutto e per questo ne ha fatto la sua ragione di vita. La pensino come vogliono, continuino pure a lanciare proposte imbarazzanti. Noi, nel nostro piccolo, continueremo a lottare: non contro di loro ma per un’altra idea di umanità. Perché senza umanità tutto perde di senso.

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