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L’uccisione di Andrea Rocchelli e Andrei Mironov alla Corte penale internazionale dell’Aja

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Andrea, per tutti Andy, Rocchelli è stato ucciso il 14 maggio 2014 nel corso della guerra in Donbass. Ad oggi la sua uccisione è rimasta impunita. Per questo motivo con una informativa indirizzata all’Ufficio della Procura della Corte Penale Internazionale, i genitori di Andy chiedono che sia aperta un’indagine. Andrea è il primo fotoreporter ucciso nella guerra in Ucraina iniziata dal 2014. Andrea è il primo italiano ucciso in questa guerra mentre stava svolgendo il suo lavoro di fotoreporter.

Il sindaco di Bucha a Francesca Mannocchi, che lo intervistò per il “Corriere della Sera” il 4 aprile 2022, volendo riassumere in poche parole la violenza indiscriminata degli invasori russi nella sua città disse: «i russi sparavano a tutto quel che si muove». La frase mi ha molto colpito perché riecheggia quasi testualmente quanto un miliziano italo-ucraino della guardia nazionale (GN) ebbe a dire a un’altra giornalista del “Corriere della Sera”, Ilaria Morani, commentando l’uccisione avvenuta a Sloviansk il 24 maggio 2014 di un fotografo italiano, Andrea Rocchelli, mio figlio. Ma chi rilasciava quella disinvolta affermazione, – spariamo a tutto quello che si muove – nel contempo accreditandosi con un ruolo di comando nella GN, non parlava dei russi, parlava di sé, dell’esercito e della GN ucraina che, dall’alto di una collina, non lasciarono scampo ai 2 Andrea, l’uno Rocchelli, trentenne, l’altro, Andrei Mironov, un attivista russo per i diritti umani, con il doppio d’anni del suo amico italiano. L’artiglieria pesante ucraina con un tiro progressivamente aggiustato e martellante li ha uccisi entrambi e, accanto a loro, ha gravemente ferito un fotografo francese, William Roguelon, fortunosamente sopravvissuto, e altri due civili ucraini.
Sono passati 8 anni e 7 mesi da quell’attacco e il delitto è tuttora impunito. Nel frattempo la magistratura italiana ha esaminato la vicenda in un processo in tre gradi, svoltosi tra il 2018 e il 2021, a carico del miliziano di cui sopra, Vitali Markiv, accusato di concorso in omicidio, e contro lo Stato ucraino come responsabile civile dell’attacco.
Dopo una condanna a 24 anni comminata in primo grado, la Corte d’appello ha concluso con un’assoluzione per un vizio di forma nella raccolta delle testimonianze e la Cassazione ha confermato tale conclusione.
Ma le motivazioni delle sentenze di I° e II° grado di giudizio sono state concordi nell’indicare nell’esercito ucraino e nella GN i responsabili del deliberato attacco con armi pesanti contro i giornalisti, civili inermi.
In questi anni le istituzioni politiche e giudiziarie ucraine hanno respinto ogni addebito nella vicenda: dapprima eludendo e boicottando ogni richiesta di indagine, poi, a processo avviato, denigrando la magistratura italiana come asservita al governo russo, minacciando le interpreti ucraine e i loro familiari, costruendo ad arte una narrazione autoassolutoria e in ogni modo cercando di influenzare il processo nel suo corso. Infine, a processo concluso, glorificando con grande impegno mediatico l’operato dell’esercito e della GN, eroi e benemeriti della difesa della patria dai suoi nemici interni ed esterni.
Ancora una volta la nostra è una irrisolta domanda di verità e giustizia per un delitto che la magistratura italiana definisce un crimine di guerra, ma su cui si stende l’oblio.
In Francia il tentato omicidio di William Roguelon del 24 maggio 2014 è ora oggetto d’indagine da parte della sezione del Tribunale di Parigi deputata proprio alle indagini sui crimini di guerra e contro l’umanità.
L’Italia che pure ha presieduto nel 1988 alla creazione dell’ICC definita appunto dallo “Statuto di Roma”, è paradossalmente in ritardo nell’adeguamento del suo ordinamento alla legislazione sui crimini di guerra e contro l’umanità e si attende a breve che i lavori di una commissione istituita ad hoc colmi questa lacuna
Eppure nel Donbass in quella primavera del 2014, come avevano intuito Rocchelli e Mironov, affondano le radici della guerra odierna, che da quasi un anno imperversa in Ucraina, infliggendo a civili e militari lutti, privazioni e patimenti. L’Ucraina è stato ed è un contesto di reato per crimini di guerra. Ma è anche un contesto proibitivo per chiedere verità e giustizia per un crimine di guerra commesso agli esordi di questo conflitto. E dunque il 2022 è stato un anno di stallo, di sgomento e indignazione per la brutalità della guerra tornata in Europa.
La guerra però continua, politica e diplomazia tacciono, l’escalation militare s’impone come dinamica esclusiva.
Tuttavia la condanna internazionale dei crimini di guerra perpetrati in Ucraina ha suscitato un interesse nuovo: il 2.3.2022 è stata creata un’apposita commissione, presieduta dal procuratore Kharim Ahmad Khan, che esaminerà e indagherà sui crimini di guerra commessi in Ucraina da chiunque a partire dal novembre 2013 sino ad ogg. Ciò costituisce una svolta e in tale prospettiva riteniamo, noi, la famiglia di Andrea Rocchelli, che la sua uccisione, quella cioè di un civile inerme, annientato mentre compiva il proprio lavoro di fotogiornalista, sia di pertinenza di tale commissione e meritevole di un’indagine volta a ristabilire verità e giustizia.
Pertanto abbiamo sottoposto il caso all’attenzione del tribunale dell’Aja convinti che si tratti di un atto dovuto, giusto e necessario, perché il tempo passato e l’attuale tragedia dell’Ucraina non sbiadiscono la brutalità di un attacco di forze armate regolari contro un bersaglio civile, non ne mutano il senso di un attacco alla libertà dell’informazione, né attenuano le responsabilità di chi l’ha ordinato, eseguito, avallato.
Tutti ora siamo concordi nel condannare i crimini di guerra perpetrati durante la sciagurata occupazione dell’Ucraina, ma è bene non usare pesi e misure diverse se crimini della stessa natura sono stati compiuti in precedenza da militari ucraini. E la ragion di stato non deve far velo al giudizio. I silenzi, gli scheletri nell’armadio, le omissioni non aiutano la buona salute della democrazia e le verità scomode, che comunque riemergono a distanza, minano la credibilità delle istituzioni che su quelle verità hanno voluto alzare cortine fumogene eroicizzanti e patriottiche.
L’obiettivo che ci proponiamo da 8 anni e più è di porre fine all’impunità per questo delitto, consapevoli che in tal modo difendiamo la vita dei civili e dei giornalisti che operano in scenari di crisi e di guerra. L’impunità è una garanzia e una rassicurazione per chi, colpevole di crimini, può continuare a commetterli. Dunque va combattuta.
Elisa Signori

 


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