In pochi credono a Draghi pensionato. Segretario generale della Nato? Presidente della Commissione o del Consiglio europeo? Ancora presidente del Consiglio? Per lui sarebbero possibili più ricollocazioni.
Tuttavia arriva una secca smentita dall’interessato dopo mesi di silenzio. L’ex presidente del Consiglio, già presidente della Banca centrale europea e in precedenza governatore della Banca d’Italia annuncia al ‘Corriere della Sera’: «Faccio il nonno. Ho quattro nipoti». Per essere più preciso aggiunge: «Ho chiarito che non sono interessato a incarichi politici o istituzionali, né in Italia né all’estero».
Con puntiglio, però, elenca i molti risultati positivi ottenuti dal suo governo di unità nazionale: il forte aumento dell’occupazione e della crescita economica dell’Italia, la riduzione del disagio sociale, le forniture energetiche alternative a quelle russe, la grande credibilità internazionale riacquistata dal nostro paese.
Ricorda i 17 duri mesi passati a Palazzo Chigi. Prima ha dovuto affrontare l’emergenza del Covid che aveva messo in ginocchio l’Italia: dal piano di vaccinazione di massa della popolazione alle misure per rilanciare il sistema produttivo devastato. Poi ha dovuto fronteggiare l’emergenza dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia: dal pieno sostegno a Kiev assicurato assieme agli alleati occidentali ai provvedimenti per fronteggiare il caro energia causato dai tagli delle forniture di gas decisi da Vladimir Putin (alla fine la Ue, anche se parzialmente, ha approvato la sua proposta di un tetto comune al pezzo del metano e i costi sono fortemente scesi).
Mario Draghi, 75 anni, uomo stimato dal presidente americano Joe Biden (e prima da Donald Trump) e dal presidente francese Macron, dal premier spagnolo Sanchez ricorda la ricetta vincente del suo governo tra cinquestelle, centro-sinistra e centro-destra: coesione nazionale interna e saldo ancoraggio in un convinto atlantismo e in un determinato europeismo.
È rammaricato di non essere riuscito a completare il suo mandato per la crisi di governo innescata a luglio da Conte, Salvini e Berlusconi. Alla fine egli, un tecnico senza un partito, ha subìto le prese di distanze sempre più forti di Conte (sulle armi da inviare all’Ucraina), di Salvini e Berlusconi (sulla riforma del fisco e sul contenimento del deficit pubblico).
Draghi ha parole di apprezzamento per Giorgia Meloni: è una «leader abile» con un forte mandato parlamentare. Forse è anche un riconoscimento a quando l’attuale presidente del Consiglio, allora all’opposizione del suo esecutivo, operò una decisa scelta atlantista ed europeista in favore dell’Ucraina. Del resto Draghi è stato un po’ il Lord Protettore della presidente del Consiglio: in America e in Europa fugò i dubbi sulla lealtà occidentale e sulla fedeltà alla democrazia sua e di Fratelli d’Italia, il suo partito post fascista. Pur non volendo dare consigli la sollecita a «mantenere saldo l’ancoraggio all’Europa» per difendere la credibilità internazionale dell’Italia e a percorrere la strada del dialogo con i sindacati.
L’atlantismo e l’europeismo fanno parte del suo lascito politico a Giorgia Meloni, assieme all’attenzione per la sostenibilità dei conti pubblici italiani, passo importante per evitare pericolose speculazioni internazionali basate sul grimaldello del grande debito pubblico nazionale. Draghi ne sa qualcosa. Da presidente del Consiglio ha dovuto fare i conti con il sovranismo e il populismo presenti all’interno dei grillini, dei leghisti, di Forza Italia e anche di Fratelli d’Italia.
Non mancano le contestazioni. Draghi, anche se garbatamente, respinge le critiche della presidente del Consiglio ai ritardi nell’attuazione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) dal quale dipendono i cospicui finanziamenti dell’Unione europea all’Italia. Fa parlare i fatti. Il suo governo, precisa, ha rispettato «tutti gli obiettivi dei primi due semestri» difatti Bruxelles ha regolarmente versato i fondi previsti. Adesso spetterà al governo di destra-centro raggiungere «tutti gli obiettivi previsti e necessari per la riscossione della terza rata».
La navigazione di governo non va proprio al meglio per la Meloni. Deve affrontare tante avversità: il diluvio di proteste per i rincari di benzina e gasolio arrivati dopo lo stop al taglio delle accise, gli scioperi della Cgil e della Uil contro la manovra economica, i ricorrenti attriti con l’Unione europea (come sulle costosissime classi energetiche per le abitazioni). La stessa maggioranza di destra-centro va in fibrillazione per i contrasti interni.
Draghi adesso fa il pensionato. Ora non sembra voler scrivere nemmeno un libro sul suo incarico di presidente del Consiglio. Al ‘Corriere della Sera’ dice: «Vedremo», ma «fin da giovane mi è sempre piaciuto di più fare che raccontare». Draghi pensionato? Forse, attratto dal «fare», in futuro non farà solo il nonno.