di Riccardo Cristiano
C’è un qualcosa di disperato nel tentativo di tanti di delegittimare la Primavera araba, aiutati da un mare di “esperti”, che negano l’unitarietà regionale del fenomeno. Infatti la tendenza a una lettura “paese per paese” della Primavera araba è tanto prevalente quanto fuorviante. Molti esperti si affannano sin dall’inizio a distinguere tra i vari paesi arabi, sostenendo che le diversità (per altro evidenti) che corrono tra i tanti paesi coinvolti dalla Primavera renderebbero evidente che si tratta non di “un fenomeno”, ma di diversi fenomeni. Tutto questo nella sua elementare verità è talmente vero da risultare profondamente falso. Siamo infatti davanti ad “un fenomeno” che originato in Tunisia si è rapidamente diffuso in tutti gli altri paesi arabi, registrando mutamenti irreversibili di quelle società, frutto di quella che possiamo chiamare la seconda globalizzazione e dei suoi prodotti.
La prima globalizzazione si verificò sul finire del XIX secolo, dal 1870 al 1910 circa grazie alla integrazione economica di aree prima periferiche nel sistema capitalistico, rendendole più vulnerabili ai flussi economici, alla fluttuazione dei prezzi, integrando il mercato locale del lavoro nel mercato globale. Questa prima globalizzazione significò una più rapida e ampia circolazione dei capitali (vedi la nascita delle grandi banche), del lavoro, la costruzione di nuove infrastrutture (come i canali di Panama e di Suez) la diffusione di mezzi di trasporto impensabili come quelli a vapore. Accanto a tutto ciò la prima globalizzazione vide anche la diffusione dei mezzi di comunicazione, a mezzo del telegrafo, dei servizi postali, dei quotidiani e dei periodici. Innovazioni che globalizzarono l’informazione e la diffusione delle nuove idee tese a cambiare l’ordine mondiale, cioè le idee dei due grandi movimenti politici mondiali frutto di quei tempi, il movimento socialista e quello anarchico.
Distinti rapidamente per via dell’adesione dei socialisti al sistema parlamentare e per il rifiuto di questo sistema da parte degli anarchici, questi movimenti conobbero entrambi una simultanea diffusione in tutto il mondo, non solo in quello occidentale. Furono i mezzi di comunicazione e le organizzazioni politiche, come la Prima e la Seconda Internazionale Socialista, a promuovere in questo periodo la diffusione globale di un pensiero che era globale in quanto prospettava un cambiamento della struttura del potere. E proprio dal 1870 in avanti il grande fenomeno della rinascita araba, la nahda, risulta OGGETTIVAMENTE intriso di idee socialiste, a riprova che il Mediterraneo orientale non era avulso o disconnesso dalla storia globale.
Anche gli arabi infatti, negli anni della difficile ideazione di un futuro diverso da quello ottomano in disfacimento, seguirono il cammino culturale degli altri popoli coinvolti dagli sviluppi della prima globalizzazione. La disconnessione politico-culturale del mondo arabo dal resto del mondo comincia dunque con la seconda guerra mondiale, visto che la grande esperienza della nahda può essere datata fino agli anni quaranta. E’ solo allora, con il post-colonialismo e la nascita dei regimi che conosciamo ancora oggi (quello saudita-wahhabita, quello baaathista, quello dei militari egiziani e poco altro) che il mondo arabo si separa dal resto del mondo ,entrando nella sua notte che diviene ancora più buia quando il khomeinismo si lancerà alla conquista politica di tutte le ferite politiche lasciate senza cura dal colonialismo e dai suoi successori.
In estrema sintesi: le idee della rivoluzione francese (uguaglianza e fraternità) si sono diffuse grazie alla prima globalizzazione e hanno raggiunto, due secoli dopo, cioè nel 1989, il loro apogeo globale, con la caduta del muro di Berlino e l’affermazione dei nuovi principi universali, diritti umani e democrazia.
Nell’ultimo tratto di quel cammino però le dittature erano riuscite a isolare il mondo arabo dal resto del mondo, in virtù dell’enorme valore economico attribuito a quell’area da tutti i potentati economici. Ora però la seconda globalizzazione ha messo a disposizione del mondo, oltre a tanto altro, anche rivoluzionari mezzi di comunicazione e di consapevolezza, i quali hanno svolto un ruolo prioritario nella Primavera araba.
In pratica si può dire che quella parte di mondo che è stata per quasi un secolo isolata dal resto del mondo e dal suo sviluppo politico-culturale, è riuscita da sola ad abbattere il muro che le grandi potenze occidentali e i despoti locali avevano eretto intorno all’area che produce il petrolio, e rientrare finalmente in contatto con il resto del mondo.
Il reingresso del mondo arabo nello e sullo stesso cammino del resto del genere umano è dunque il prodotto dell’interconnessione planetaria creata dalla seconda globalizzazione, e molto indica che gli arabi intendano svolgere un ruolo leader nel campo laico e libertario, quello dal quale erano stati forzatamente espulsi quasi un secolo fa.
Forse il nuovo radicalismo, quello che 150 anni fu dei socialisti e degli anarchici europei, sarà “made in arabs”. E’ già estremamente interessante notare che la caratteristica della Primavera è una leadership “orizzontale”, non verticale. Un’assoluta novità che noi sin qui non abbiamo saputo cogliere in tutta la sua valenza, ma che già il protagonismo femminile che arriva da quelle esperienza sociali ci svela in tutta la sua valenza.