BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Le nuove indagini (43 anni dopo) sull’uccisione di Piersanti Mattarella

0 0

Il binomio Nino Madonia-Vito Ciancimino avanza lentamente, 43 anni dopo, nei nuovi accertamenti che la procura di Palermo sta conducendo sull’omicidio di Piersanti Mattarella, il fratello del presidente della Repubblica, Sergio, assassinato la mattina del 6 gennaio 1980 in via Libertà, nel capoluogo siciliano.

Palermo oggi ricorda il suo presidente della Regione dalle “carte in regola”, con un omaggio nel luogo dell’agguato, ma soprattutto con la rinnovata richiesta di verità sul delitto. E indagini che prendono una direzione precisa. Mentre il presidente del Tribunale, Antonio Balsamo, chiede una Commissione parlamentare di inchiesta che “faccia piena luce sulla stagione del terrorismo mafioso”, una fase storica che inizia negli anni Settanta e si protrae fino al 1993.

Madonia, detenuto ininterrottamente dalla fine del 1989, dopo avere trascorso già precedenti periodi in carcere, potrebbe essere il sicario che sparo’ all’allora presidente della Regione. L’ex sindaco Ciancimino, morto a novembre del 2002, è il politico-mafioso inserito a pieno titolo nel contesto melmoso in cui maturò l’omicidio: un fatto – la sua responsabilita’ diretta – su cui ci sono sempre stati sospetti ma mai prove, sebbene messi pure nero su bianco in sentenze definitive, come quella sui cosiddetti delitti politici (Reina, Mattarella, La Torre).

Accertati pure la caratura criminale dell’ex barbiere venuto da Corleone e il suo ruolo di cerniera fra la vecchia Dc e la Cosa nostra tradizionale, di Riina e Provenzano, in cui lui, seppure su piani diversi, sarebbe stato allo stesso livello di potere dei due suoi compaesani.

Nel caso specifico del delitto Mattarella è poi accertato pure il depistaggio tentato da Ciancimino con la falsa pista sulle Brigate rosse (così come per l’assassinio del segretario del Pci, Pio La Torre, lo stesso uomo del sacco edilizio di Palermo mise in giro, e a verbale, la teoria della “pista interna” al partito comunista). Indagare su don Vito è però sostanzialmente inutile, a meno che non emergano altre complicità per l’omicidio con personaggi ancora in vita della politica di quei tempi. Mentre Madonia, che sconta ergastoli per una serie di altri omicidi degli anni ’80, ha tutti i requisiti per essere il killer dagli occhi di ghiaccio che sparò a Mattarella, appena salito in auto con la moglie, Irma Chiazzese, e i figli Bernardo e Maria, con cui stava andando a messa, senza scorta, perché quell’Epifania del 1980 era domenica e nei giorni di festa il presidente lasciava liberi gli uomini che lo proteggevano.

Dall’anno scorso i due nipoti diretti della vittima, prima Piersanti – omonimo del nonno – e ora Andrea Mattarella, entrambi figli di Bernardo Mattarella, chiedono che si faccia piena luce sulle responsabilita’ ancora non emerse.

Un appello affinché si accendano i fari sulle collusioni mai scoperte, sul contesto politico-istituzionale deviato che volle o favorì il delitto, l‘eliminazione di un rappresentante delle istituzioni che si opponeva a un sistema affaristico basato su appalti pilotati e divisi fra imprese vicine alle cosche, con l’avallo della politica inquinata.

Un pressante invito a ripartire raccolto, nel tempo, dagli inquirenti, già costretti però ad abbandonare le suggestioni di piste inconsistenti o del tutto vanificate dagli esiti di processi e da sentenze definitive.

La pista nera, benché giudiziariamente sepolta dall’assoluzione definitiva di Giusva Fioravanti, killer nero sul cui ruolo aveva puntato Giovanni Falcone, era stata rispolverata sulla base di elementi vecchissimi ma riemersi negli ultimi anni: si puntava a eventuali complici di Fioravanti ma nessuna certezza è stata raggiunta, a causa della distruzione dei reperti o per la loro naturale consunzione, cosa che aveva reso impossibile, ad esempio, appurare se la pistola Colt Cobra che aveva sparato a Mattarella fosse stata usata anche per uccidere, cinque mesi e mezzo dopo, il 23 giugno 1980, il giudice romano Mario Amato, che indagava sul terrorismo di estrema destra.

Rimangono elementi anch’essi suggestivi, come il riconoscimento di Fioravanti, fatto dalla vedova Mattarella non solo sulla base dell’immagine che le era stata mostrata dell’esponente dei Nar, ma anche su un particolare fisico certo, l’andatura caracollante, a balzelloni, del killer. Un modo di camminare che era tipico anche di Fioravanti.

Il procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, e il suo aggiunto Marzia Sabella hanno oggi in mano il fascicolo contenente i nuovi accertamenti. Per un delitto come quello del 6 gennaio dell’80 non ci sono limiti massimi di tempo: poco meno di due anni fa, ad esempio, Nino Madonia e’ stato condannato all’ergastolo, in primo grado, per il duplice omicidio, avvenuto il 5 agosto 1989, dell’agente Nino Agostino e della moglie incinta, Ida Castelluccio.

Il giudizio contro Madonia, sul delitto Agostino, venne istruito solo alcuni decenni dopo ed e’ ancora in corso in appello. Un altro processo partito molti anni dopo la sua commissione è quello per l’omicidio del chirurgo vascolare Sebastiano Bosio (6 novembre 1981), per il quale l’ergastolo inflitto al superkiller è divenuto definitivo solo a settembre 2018.

Su Mattarella già la corte d’assise d’appello aveva evidenziato, nel 1998, nel decidere il processo sugli omicidi politici, la somiglianza fisica tra Nino Madonia e Giusva Fioravanti, oltre al dato – sottolineato da diversi pentiti – relativo alla assoluta incredibilità dello scambio di favori tra mafia e neri, visto che se i neofascisti potevano giovarsi dell’aiuto dei mafiosi, era assai piu’ improbabile il contrario, dato che i killer e i “soldati” pronti a sparare a Cosa nostra non mancavano.

Madonia è uno dei quattro figli del patriarca di Resuttana, Ciccio Madonia, “competente per territorio” sulla via Libertà, dove venne ucciso Piersanti Mattarella. Tre dei fratelli Madonia commisero ciascuno tanti delitti e almeno uno eccellente: Giuseppe uccise il capitano dei carabinieri Emanuele Basile (4 maggio 1980, quattro mesi dopo Mattarella); Salvino, l’imprenditore Libero Grassi (29 agosto 1991); e Nino era uno degli uomini di punta del gruppo di fuoco che, alleato con i corleonesi, seminò sangue e terrore per tutto l’inizio degli anni ’80 (fra le sue vittime principali La Torre e Dalla Chiesa, 1982; Chinnici, 1983; Cassarà, 1985).

Oltre agli elementi di tipo logico-deduttivo, insufficienti per arrivare a un processo, c’è oggi la ricerca di testimonianze, di contributi specifici di pentiti, di dichiarazioni che possano incrociarsi e formare prove. Un lavoro in fase avanzata, che potrebbe portare presto all’incriminazione ufficiale del killer dallo sguardo glaciale, che sta pagando per tanti omicidi, ma non per quello di un presidente della Regione che aveva deciso di puntare sul rinnovamento, in un momento in cui questi comportamenti, giudicati “eversivi”, venivano puniti con la morte dall’organizzazione mafiosa.
(Agi)


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21