Benedetto XVI è stato l’ultimo papa del Novecento, con una visione del mondo fortemente radicata nella teologia di stampo conservatore e radici profondamente europee, l’opposto di Francesco, il primo pontefice globale. Tedesco della Baviera, non ha alcun senso schiacciarlo sulla vicenda storica del nazismo, che travolse per intero la sua generazione e alla quale neanche un illustre scrittore come Günter Grass fu estraneo. Allo stesso modo, anche le accuse che lo hanno lambito in merito ai casi di pedofilia nella Chiesa o a sue presunte coperture degli stessi sono tutte da dimostrare e non è questo il momento di sollevare un argomento del genere. Di fronte alla scomparsa di un protagonista del Ventesimo secolo, divenuto papa in seguito alla morte di Giovanni Paolo II, con il preciso compito di guidare una fase di transizione piuttosto delicata per un universo già allora scosso da tensioni, scandali, pressioni d’ogni sorta e bisognoso di un periodo di passaggio prima di entrare nel Ventunesimo secolo, occorre comprensione e rispetto. Del resto, è soprattutto per questo, nel 2005, venne preferito al progressista Bergoglio, già allora papabile ma per il quale si preferì aspettare che molti equilibri mutassero e che si creassero le condizioni necessarie per la sua ascesa al soglio pontificio. La Chiesa, d’altronde, essendo un’istituzione millenaria che guarda all’eternità, non ha fretta. A differenza della nostra brevimirante politica, sa aspettare, anche a lungo se necessario.
Tornando al profilo di Ratzinger, si può certamente dire che sia stato un teologo di fama mondiale, uno studioso fra i più importanti e raffinati e anche sul piano sociale, specie per quanto concerne gli aspetti solidaristici dell’economia, con l’enciclica “Caritas in veritate” ha anticipato alcuni dei temi che innervano oggi il pontificato di Francesco. Ben diverso, invece, il discorso per quanto riguarda la sua visione retrograda su diritti civili e tradizioni. Non era un uomo adatto a questo secolo e pensiamo di poter dire, a ragion veduta, che abbia sofferto maledettamente un impegno politico che lo ha costretto a stare in primo piano assai più di quanto si aspettasse, portandolo a vivere un’esperienza che lo ha segnato e, in un certo senso, sconvolto. Non mediatico, poco comunicativo, molto attaccato a formule che ormai hanno fatto il loro tempo, ancora immerso in un mondo che non esiste più, giunto al papato in età avanzata e fin dall’inizio visibilmente stanco e provato, Benedetto XVI ha gestito da par suo un passaggio difficilissimo, dando sempre l’impressione di non essere destinato a incidere più di tanto nella vicenda globale. Pesava su di lui anche l’eredità di Wojtyla, il papà venuto dall’Est in piena guerra fredda, durato ventisette anni, ultra-mediatico, amatissimo dai giovani, a sua volta conservatore ma senz’altro in grado di mascherare al meglio alcuni tratti imbarazzanti del suo pontificato: dallo IOR di Marcinkus agli intrecci che questo ha avuto con alcune delle vicende italiane più spinose, a cominciare dalla vicenda del banchiere Roberto Calvi, ritrovato impiccato sotto il ponte dei Frati neri a Londra nel giugno dell’82; per non parlare, poi, della questione del sindacato polacco Solidarność, promosso da Lech Wałęsa, e dell’irrisolta tragedia di Emanuela Orlandi. Insomma, al termine di un’esperienza durata quasi tre decenni, intensa e significativa come poche, che aveva visto il mondo mutare nelle sue dinamiche, con l’abbattimento del Muro di Berlino, la dissoluzione dell’Unione Sovietica e l’affermarsi di un nuovo ordine mondiale, incentrato per circa un ventennio su una sorta di “pax americana”, si preferì evitare una figura altrettanto forte e di segno opposto, favorendo un passaggio da un secolo all’altro, da un millennio all’altro, che avesse il volto mite e la voce flebile di un uomo destinato a essere una figura di transizione, prima dell’avvento di una nuova era.
Complesso, controverso, particolare, umile nella sua ammissione pubblica di non poter più portare il fardello di un’istituzione divenuta troppo gravosa per le sue spalle anziane, capace di restare spesso in silenzio e di attendere la morte con dignità, ci ha lasciato una personalità che confliggeva con il concetto stesso di modernità ma che ha saputo, comunque, affrontare sfide significative con tutta la determinazione di cui disponeva.
Le sue ultime parole sono state: “Signore, ti amo”. L’ultimo atto di gentilezza e devozione di un uomo che ha saputo essere un traghettatore senza mai cercare la ribalta. A novantacinque anni il cerchio si è chiuso.
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